E’ notizia di pochi giorni fa (ieri o l’altroieri) che una ragazzina poco più che ventenne abbia ricevuto un sacco di auguri di morte da divers* naviganti del web a seguito della pubblicazione su un qualche social network di un suo video/post/commento in cui, brevemente, ringraziava la ricerca sugli animali per essere viva (si tratta infatti di una persona malata, attaccata ad un respiratore anche per una ventina di ore al giorno).
Partendo da qui, c’è stato un proliferare di commenti, iniziative (di dubbio valore) di sostegno tramite web, risposte, controrisposte, ricerca spasmodica di interviste e di qualsiasi cosa che potesse sollevare l’audience di un pubblico stordito dall’ingestione di troppe calorie e di grandi classici tipo “Una poltrona per due” che invadono di muffa la TV natalizia.
E, ovviamente, strumentalizzazione: immagino che buona parte del mondo scientifico non ne vedesse l’ora. Ma non vorrei parlare di questo. A me interessa parlare di cosa ci ho visto io, in questo putiferio, cercando di scartare, per quanto possibile, tutte le costruzioni che vi si sono installate sopra.
Caterina è giovane e malata. Praticamente un ossimoro, in una società dove “giovane” è sinonimo di attivo, bello, vivace, felice e, in parte, anche invincibile. Invece a lei è toccata la sfiga, come tocca a tant*, senza che questa si premuri di controllare certificati di nascita, passaporti o i conti in banca. La sua routine è fatta di medicinali e macchine e afferma, ad un certo punto, che senza la sperimentazione su altri individui, lei non sarebbe qui. E quindi è a favore del fatto che si continuino ad utilizzare questi metodi affinché lei e altr* nelle sue stesse (o simili, oppure anche diverse, ma ugualmente difficili) condizioni possano avere accesso alle possibilità di cui molt* dispongono in maniera molto più semplice e diretta. Questo -viene sottolineato- pur amando gli animali e studiando veterinaria proprio perché spinta da questo sentimento.
C’è da dire che il discorso è complesso e non mi stupisco più di tanto che le reazioni a ciò siano state molto forti (inappropriate, violente e deprecabili, spesso, purtroppo): a parte il fatto che sul web la gente dà volentieri il peggiò di sé, la situazione stessa è “forte”, come si può notare. E’ vero, infatti, che lei è viva grazie alla sperimentazione animale: non si può negare che le innovazioni nel campo della medicina si siano sviluppate su questo. Ma ciò basta per dichiararsi favorevoli allo sfruttamento e alla sofferenza?
No, non mi voglio immedesimare: non potrei neppure arrivare ad immaginare un dodicesimo della sua realtà, però posso cercare di analizzare cosa succede nel mio piccolo.
Ho fatto uso di medicinali (tento il più possibile di evitarli, attualmente), ho subito qualche operazione (dall’appendicite alle cure dentistiche), sono stata dalla ginecologa… Non posso negare che per me, affinché il mio benessere fosse preservato o ristabilito, molti individui abbiano sofferto. E, attenzione: non parlo solo di animali. Ogni categoria nel tempo considerata “inferiore” è stata sfruttata, e non sono la prima ad averci riflettuto su. E’ una questione di privilegio: io, bianca e occidentale posso considerare tutto il resto del mondo a mia disposizione. Me lo servono su un piatto d’argento, sia che si tratti della mia salute, che di un concetto più generale di benessere. Il cibo che mangio, gli sprechi che mi posso permettere, i vestiti che indosso, gli svaghi a cui posso attingere -foss’anche un semplice libro…ogni cosa può provenire dalla sofferenza e dallo sfruttamento: il caffé delle grandi piantagioni, la benzina per cui l’Occidente va ad “esportare democrazia”, la carta proveniente da boschi ormai scomparsi, il cellulare nato da dita agili e sottopagate…
Poiché lo spettro della coerenza è quello che viene più spesso sbandierato (sia come arma che come scudo) quando si intraprendono queste discussioni, non posso negare che gran parte delle cose che mi circondano portano con sé scie di dolore, ma questo non mi dà il diritto di alzare le spalle e dire “è così e, perciò, sono favorevole al fatto che continui ad essere così”.
E’ questa la falla che leggo nel can-can che si è scatenato: ammettere che qualcosa di positivo provenga da qualcos’altro che, invece, è negativo (e che come tale viene chiaramente percepito), non può significare sostenerlo e non fare niente per modificare la situazione. Non ci si può permettere, se ci si rende conto che qualcosa è sbagliato, di allargare le braccia con atteggiamento impotente perché le conseguenze “ci stanno bene”. Questa è pigrizia ed ipocrisia.
La sperimentazione animale E’ sbagliata. Prendere un individuo e lavorarci su a proprio piacimento (e, attenzione, non sto facendo alcun riferimento al “dolore”: paradossalmente è un elemento del tutto irrilevante) non dovrebbe essere mai un “(difficile) compromesso” per il raggiungimento di fini più alti. In qualche modo si tratta dello stesso errore di valutazione* commesso da chi ha affermato che la vita di Caterina (le cui opinioni, secondo alcuni aggiornamenti, sembrano essere in realtà meno “definitive”) valesse meno di quella delle cavie da laboratorio: vengono poste sul piatto della bilancia delle vite/vittime, col tentativo di individuare con chiarezza il “simbolo” (o fazione, se vogliamo) accanto a cui schierarsi a seconda di cosa ci vada meglio o di quale sia la nostra condizione, o il livello del nostro privilegio. Ci si dimentica, invece, che l’obiettivo non è questo, ma l’avvicinarsi il più possibile all’equa distribuzione di benessere per ogni individuo. Perché, se Caterina fosse stata non-occidentale o, molto più banalmente, povera, di lei non avremmo mai sentito parlare; il problema non si sarebbe posto neppure per chi, mosso da viscido pietismo, oggi è pront* a sacrificare con le proprie mani agnelli alla Divina Scienza affinché lei possa avere una vita dignitosa…
So che sembra un insieme di belle frasi, ma non sto parlando di utopie: nel mio discorso entrano la fatica dell’autoanalisi, la sofferenza della privazione (di molte comodità), le delusioni, gli errori e l’accettazione che certe cose non possono cambiare subito. Però iniziamo, almeno.
*si può definire “errore di valutazione” l’agurare la morte a qualcun*?
Il problema della sperimentazione animale, come quello dello sfruttamento generale dei “forti” rispetto ai “deboli”, è una questione che mi sta a cuore, data la mia formazione scientifica.
Il fatto è che noi, e come noi intendo popolazioni “ricche” e dominanti, dobbiamo decidere cosa vogliamo: vogliamo il vegetarianesimo, il biologico, il km0, la ricerca senza sperimentazione animale, l’ecologico? Vogliamo vivere tutti più a lungo? Più sani? Più? Le varie correnti di pensiero/scelte di vita cozzano l’una con l’altra, sempre. Ai tempi dei nostri nonni la mortalità infantile era elevatissima rispetto ad oggi, i bambini morivano per disparate cause, le donne ne partorivano almeno 5-6, la gente in generale aveva un’aspettativa di vita molto più breve rispetto ad adesso. Adesso le famiglie hanno 1 massimo due figli in media, la cui nascita viene solitamente pianificata ed avverata anche in casi in cui 50 anni fa la coppia sarebbe stata considerata sterile, la mortalità infantile è bassissima, lo stato di salute generale è migliorato, i vaccini -se la gente li facesse- hanno debellato molte malattie mortali, si può persino guarire dal cancro -malatia che ai tempi dei nostri nonni non si sapeva nemmeno bene che esistesse-. Come siamo arrivati a ciò? Nello stesso modo in cui l’uomo ha continuato ad evolversi nel tempo: usando, modificando, sfruttando l’ambiente che lo circonda. Usando e sfruttando la natura. Usando e sfruttando altri uomini che per mere ragioni storiche erano in quel momento in uno stato di subordinazione. Qual’è l’equa distribuzione del benessere per ogni individuo? Avere da mangiare e da bere e un tetto sulla testa? ossia soddisfare i bisogni di base? Senza nuocere sugli altri esseri viventi? Dovremmo vivere tutti in zone temperate, dove frutta e verdura abbondino tutto l’anno (gli esquimesi ad esempio la vedo dura diventino vegetariani), accettando di morire di varie malattie e accettando l’esistenza di insetti vettori di malattie mortali.
Non è etico usare un animale per sviluppare dei medicinali, quindi diventa etico lasciar morire degli umani per malattie incurabili, o somministrare ad esseri umani medicinali mai testati su altri esseri viventi. Non è un giudizio, è una logica conseguenza. Nell’antichità i bambini nati storpi venivano gettati dalle rupi, per evitare loro una vita di sofferenza e di peso sul resto della società (ubi maior minor cessat: uno storpio era un costo). Così accade anche in natura: il debole, il malato, lo storpio sono destinati a soccombere per la sopravvivenza degli altri individui. E la natura, si sa, non è buona nè cattiva, poichè gli animali non hanno una morale o un’etica.
E quindi decidiamo cosa vogliamo: caterine che non esistono, gente che muore molto prima di quanto possa permettersi di fare adesso, meno gente in generale, animali che tornano a fare gli animali (quindi per favore niente cani vestiti da barbie e niente gatti che mangiano salmone e verdure al vapore -sarebbe da aprire un discorso a parte sul cibo per animali e pubblicità correlate) e noi esseri umani -che non ci adattiamo a nessun habitat naturale, non avendone uno, ma che adattiamo ogni habitat a noi- tutti fratelli che dividono il cibo in piccole comunità fraterne.