Pop! Taylor Swift! Gay Pride! Everything that makes me, me! [semicit.]

Ho sempre amato la musica pop. Non c’è niente di meglio per l’umore che ascoltare quelle melodie allegre, energetiche e a volte pesino melense presenti in questo genere. Sì, posso ascoltare la musica classica, posso scivolare su qualche canzone più rock e amo molto un disco (e uno solo) dei Blind Guardian, ma il luogo dove sono veramente a casa è nel colorato e fresco mondo del pop. E’ per questo motivo che sorprende anche me che io sia appodata a Taylor Swift solo da poco più di un mese (anche se, l’ammetto: sto recuperando molto in fretta).
Di lei non sapevo granché, a parte il fatto che era famosa; conoscevo a spanne il ritornello di una sua canzone piuttosto piacevole e anche la melodia di un altro suo brano, pur non avendolo mai attribuito a lei. Avevo sentito parlare di sfuggita della battaglia legale che aveva intrapreso contro la sua precedente etichetta discografica e del fatto che ci fosse un modo “etico” (prendete il termine con le pinze) di ascoltare le sue canzoni, ossia scegliere i brani reincisi -le cosiddette “Taylor’s version”- dei suoi primi dischi. Sapevo anche della sua fama di “sciupauomini”, che avevo già tranquillamente relegato alla solita divertente misoginia dei media (ah ah ah che tanto ridere proprio!). In generale, se qualcun* avesse dovuto chiedermi un parere su di lei come artista o personaggio pubblico, avrei detto che di base provavo, a istinto, sentimenti positivi di simpatia e generale rispetto.

Poi è arrivata “Anti-Hero”, un giorno mentre ero in macchina alla radio e pregavo di non dover passare tutto il viaggio a cambiare compulsivamente stazione nel tentativo di schivare tutte le voci maschili che infestano le frequenze (soprattutto italiane, devo dire). Ho pensato che avesse una bella melodia e, cercando di concentrarmi sul testo per poi poterla ritrovare, avevo anche percepito qualche livello di profondità nelle parole e ne ero rimasta colpita. Era, nella mia percezione, un racconto molto intimo delle insicurezze di una persona: che stupore scoprire che stavamo parlando proprio di Taylor Swift, attualmente in grado di far oscillare sia il globo terrestre (letteralmente: cercatevi informazioni a riguardo di un suo concerto e le reazioni dei sismografi) che il PIL dei luoghi dove si esibisce.
Qualche tempo dopo, la noia mi ha fatto cercare proprio il suo ultimo album non ri-registrato -“Midnights”- per sopravvivere al lavoro d’ufficio.

E questo è l’inizio della mia storia: da lì è stato amore profondo. Continuo ad ascoltarla in maniera ossessiva, in quanto fonte di tutto il pop di cui il mio corpo sente di avere bisogno. Della sua vasta produzione, poche cose non sono nelle mie corde e, per lo più, mi ritrovo a canticchiare le sue melodie in momenti completamente randomici, dalla mattina alla sera. Ho anche iniziato ad approfondire le sue vicende, dalla controversia con la sua casa discografica ad un processo che aveva affrontato per delle molestie che aveva subito. Sono approdata sul suo documentario “Miss Americana” e sono rimasta folgorata dal tipo di persona che ne viene fuori.
Certo, stiamo parlando di una multimilionaria (o miliardaria?), che riesce però a dare di sè un’immagine di persona semplice -persino onesta- nel suo modo di approcciarsi sia alle interviste che con l* fan. Addirittura simpatica e dolce. Mi stupisce, ad esempio, il modo in cui sembra cercare realmente una connessione, soprattutto con l* ammirat*i. Certo, è anche vero che mi trovo in un punto della mia vita in cui sto pensando molto a questo, cioè alla connessione con le persone, all’empatia, al senso di comunità…vedere una persona che secondo l’immaginario comune potrebbe “permettersi” di essere distante comportarsi invece in maniera così entusiasta di fronte al contatto umano è una cosa che oggi bussa forte nella mia coscienza.

Ma non è finita qui: nella ricerca ossessiva (sì, divento molto…diciamo…”focalizzata” quando sono all’inizio di una nuova passione) di video e articoli su di lei, eccomi arrivare al centro di questo post: la comunità “gaylor”, ossia un insieme piuttosto ampio di persone che sostiene che lei sia lesbica/bi/pan ma che non abbia ancora fatto coming out per svariati motivi,e che però abbia comunque cercato di mandare segnali in questo senso alla comunità queer tramite simboli e messaggi “criptati” (cosa per la quale è comunque famosa: cercare “easter eggs” nei suoi video pare essere uno sport molto in voga e, a quanto mi sembra di capire, moltissimi vengono confermati). Non mi interessa ora discutere approfonditamente dell’argomento cercando di provare perché, secondo me, questa teoria abbia fondamento, perché si tratta comunque di speculazioni che, finché non verranno confermate dalla diretta interessata, rimangono nel mondo delle idee; penso però che l’esistenza stessa di questa comunità sia interessante. Ed è per me interessante anche capire perché io stessa abbia aderito senza fatica a questa corrente di pensiero. In fondo, cosa mi cambia se Taylor è davvero bisessuale/pan/lesbica? Le possibilità che ho di incontrarla sono pari allo “zero virgola”, per non parlare di quelle di avere un flirt con lei. Non solo: stiamo parlando -di nuovo- di una delle persone più potenti (=ricche) d’America che potrebbe ritirarsi a vita privata e passare un’esistenza tranquilla ovunque voglia, campando di rendita senza preoccuparsi del futuro (in senso materiale) da qui fino a 100 anni. Di quanta empatia e sostegno può avere bisogno nel suo coming out, quando ha il mondo ai suoi piedi?*
Eppure perché questo bisogno di reclamarla come “nostra”? Perché questa strana gioia nel trovare esposizioni razionali e sensate che confermino la teoria? Perché quella stretta al cuore al pensiero che un coming-out, secondo una ricostruzione “razionale e sensata” trovata in internet, stava per arrivare nel 2019, prima che il fulmine a ciel sereno della vendita della proprietà delle sue canzoni ribaltasse il suo mondo? (No, cercatela questa storia: è strappalacrime. Ci penso da giorni)
C’è realmente da stupirsi se una comunità che a volte (troppo spesso) affronta minacce alla propria incolumità e sopravvivenza vuole sentirsi vicina ad un personaggio che, tutto sommato, è positivo, accogliente, vitale e amorevole? E anche famoso, quindi, un punto di riferimento…?
Ritorno indietro a quando ero “l’unica lesbica del mondo”, una fase che tutte le persone non etero sono certa abbiano passato ad un certo punto, e cercavo in maniera disperata qualcosa, qualcuno che parlasse di me. A me. Ogni piccolo indizio in un film, un libro, una canzone  era in grado di farmi sperare (maledetta per sempre sia “Vivo per Lei” cantata da Giorgia: la musica! Questa tipa viveva per LA. MUSICA. Ma vaff…). Anche se non so se si possa parlare di speranza. E’ qualcosa di più complesso ancora: non che avrei mai potuto incontrare i personaggi di un film o quella cantante, ma l’esistenza stessa di racconti con lesbiche, in qualche modo, legittimava la mia esistenza. Io mi sentivo viva. Vera. Nella mia consapevolezza che quella era la mia identità, vederla rispecchiata in altre immagini o parole mi donava un brivido che tuttora non sono in grado di spiegare. Non mi sono mai sentita in colpa, fortunatamente, ma sola sì. E non parlo di mancanza di relazioni amorose: c’è altro, nella solitudine di un’adolescente lesbica. E’ la mancanza di connessione. E’ l’assenza di comunità. Sono concetti che, come già detto qui, sto facendomi girare molto in testa, in questo periodo, e tuttora non ho una spiegazione chiara del perché sento essere importanti. A parte il fatto che ai miei occhi lo sono a tutti gli effetti. Se poi vogliamo tirare in ballo la biologia, l’antropologia, l’etnografia o chissà quale altra disciplina che venga a dissezionare ogni nostro minimo tendere verso la vita, facciamolo pure, ma non qui.
Qui volevo solo parlare del perché l’idea che Taylor Swift sia lesbica e che lo stia comunicando solo alla sua comunità, tramite termini tipici della cultura queer, riempia di gioia milioni di persone nel mondo. Mi sembra quasi di poterla sentire, quest’onda di entusiasmo ed eccitazione. Felicità allo stato puro. E poi anche commozione, amore, la sensazione di sentirsi comprese. Di non essere sole, neppure nella paura di esporsi e cercare di giostrarsi tra il desiderio di viversi e la necessità di proteggersi, di proteggere dagli occhi spesso gelidi del mondo un segreto prezioso. L’unica cosa che ci fa veramente sentire vive.

 

*In realtà, il mio pensiero a riguardo è che ogni persona vive nel proprio mondo, fatto dei propri ostacoli. E’ vero che lei di privilegio ne ha persino di scorta, ma, in tutta sincerità, non so davvero dire quanto possa essere difficile/facile per lei affrontare un coming out pubblico. Un coming out molto pubblico. E ho il sospetto che non si tratti di questioni meramente economiche derivanti da un calo di vendite, dato che pure di soldi ne ha di scorta, a questo punto della sua carriera.

 

Ps: la semicit. del titolo fa riferimento ad un discorso del documentario “Miss Americana” dove Taylor Swift stava dando vita al video della canzone “ME!” descrivendone alcune scene e che cito ora con precisione:

“When it’s like “me-e-eee” it’s like DANCERS! CATS! GAY PRIDE! PEOPLE WITH COUNTRY WESTERN BOOTS! […] everything that makes me, me”.

Si suppone che il documentario avrebbe dovuto essere uno degli strumenti per il coming out pubblico, ma che sia poi stato rimaneggiato e montato diversamente in seguito alla controversia relativa alla proprietà delle sue stesse canzoni. Quella frase (sfuggita? Lasciata nel tentativo di farla passare sottotraccia, ma di mandare comunque un messaggio? Mah…) mi aveva colpita in maniera particolare.

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