A me, da piccola, Santa Lucia faceva paura: una tizia con gli occhi in mano sarebbe entrata in casa mia (pure col suo asino!), avrebbe avuto accesso ad ogni locale e, in cambio di arachidi e mandaranci, avrebbe lasciato dei regali. I regali mi andavano benissimo, sia chiaro, ma non riuscivo a sopportare il terrore dell’idea che mi scappasse la pipì nel bel mezzo della notte e che la santa, ferocemente incazzata perché l’avevo scoperta (non so bene perché dovesse arrabbiarsi: d’altra parte era stata lei ad entrare in una casa che, santo cielo, era chiusa! Sin da piccola sapevo benissimo che questo era un reato!), mi avrebbe costretta a guardare le sue orbite vuote e sanguinolente e i suoi occhi, staccati dal resto del corpo; se fosse stata veramente sadica (e nella mia testa di bambina non stentavo a credere che potesse esserlo) me li avrebbe persino fatti toccare. Non potevo sopportare l’idea. Non era mica come il topolino dei denti! Quello sapevo che viveva legittimamente in cantina ed ero io che andavo a bussare alla sua porta per lasciargli il dentino. Se poi non voleva darmi niente in cambio, semplicemente il dente rimaneva lì (ma non è mai successo: il mio topolino deve avere un sorriso smagliante!): era un baratto tranquillo, quasi una mutua assistenza, e nessuno si incazzava o s’inventava vendette splatter.
Invece in qualche particolare giornata dell’anno accadeva che figure losche e disgustosamente ferite entrassero in casa mia. Ok, Babbo Natale non era ferito, però quell’anziano signore aveva anch’egli fama di alterarsi, se fosse stato scoperto. La Befana, poi, non era moribonda -anzi, piuttosto arzilla, per l’età che aveva!- ma era sicuramente stata resa incattivita dal tempo…
Il periodo peggiore per me, però, era la Pasqua. Lì non c’erano neppure i doni a mitigare la presenza del personaggio più orribile che la mia fervida immaginazione fosse mai riuscita a vedere in ogni minimo particolare: Gesù.
Io conoscevo benissimo la sua storia: come la maggior parte (sigh) dei bambini italiani sono stata cresciuta da cattolica e la vita di questo personaggio mitico non aveva segreti per me. Nasceva nel periodo di Babbo Natale, poi scappava in Egitto, faceva vita da latitante -ma da bravissimo bambino che aiutava sempre il papà Geppet…Giuseppe, Giuseppe!- e ricompariva adulto, stupendo tutti con stranissime magie, scegliendo poi di uscire dalle scene nella maniera più idiota dell’universo (pur se eclatante!): lasciandosi prendere e facendosi torturare crudelmente, fino a morire dopo lunga agonia inchiodato ad una croce. Non contento di ciò, però, a Pasqua lui ritornava, ma mica tutto intero! No: con i buchi ed il sangue, tanto che San Tommaso era costretto a ficcare la sua mano dentro la ferita per punizione di non aver creduto alla resurrezione. Ogni anno. Lo faceva gni stramaledetto anno da quella famosa primavera del 33 d. C.
Fu così che iniziai a domandarmi in quale modo si potesse dimostrare di credere e risultare sinceri, così da sfuggire alla “prova del buco”. E se Gesù avesse pensato che non gli credevo abbastanza e avesse voluto punirmi? O se avesse semplicemente avuto voglia di far fare un ripasso veloce all’umanità ricomparendo davanti ad essa? Io non lo volevo vedere Gesù, tutto bucato e sanguinante. Io non lo volevo vedere! La notte del sabato prima di Pasqua dovevo essere accompagnata nelle parti buie della casa: sia mai che fossi stata io la prescelta (sì, egocentrica sin dagli esordi).
Raggiunta l’età della ragione (o qualcosa di molto simile), mi sono arrabbiata: avevo già analizzato la religione come insieme di simboli e non come cronaca di fatti realmente accaduti (checché ne dicano i vari predicatori) e, appunto, poiché il simbolo è un elemento tanto complesso, mi sono chiesta che bisogno ci fosse di inculcare nella testa certe immagini a bambini che avrebbero potuto interpretarlo unicamente in maniera letterale. Sicuramente l’abilità di riconoscere il simbolo avviene nel tempo e bisogna esserne educati, perciò abituati ad averli sotto gli occhi, ma è davvero necessario partire subito in quarta? L’educazione -anche a scuola- avviene per gradi. Alle elementari la storia è fatta quasi sempre di “buoni Vs cattivi”, per poi approfondire, ribaltare visioni, analizzare ragioni politiche mentre si procede nello studio. Ma potrei anche domandarmi, ad esempio, perché si fa educazione sessuale solo ad una certa età (se si fa!), ma si espongono le menti degli infanti a immagini e narrazioni truculente senza alcun problema?
Io avevo paura: non lo dico per dire. Sono stata l’unica al mondo? Mi rifiuto di crederci e questa è una delle tante ragioni per le quali, alla fine, ho chiesto lo “sbattezzo”.
Però ho divagato un sacco: volevo parlare di Santa Lucia, in realtà, e di come, crescendo, le cose acquistino nuove sfumature: adesso lei mi piace, perché, nella mia testa, è tornata ad avvicinarsi all’archetipo che l’aveva originata, ossia la forza dell’inverno che sta per sopraggiungere, l’energia non ancora completa che sta per avviare un nuovo ciclo. L’impossibilità di vedere, e quindi di comprendere appieno il mondo, la rende un’entità ancora in fieri; allo stesso tempo la sua “prova” consiste proprio nel fare a meno della vista per riuscire a cogliere l’essenza delle cose e ad esprimersi al meglio per completare la sua maturazione che si esplicherà nella trasformazione nell’archetipo-madre che segue a breve (la Madonna, per chi è abituato ai discorsi cristiani), ossia la potenza che diviene atto.
Questo è bello. Questo è interessante. Questo dovrebbe essere la religione, per chi ne avesse bisogno: tentativo interpretazione della realtà e della mente umana, gioco alla decostruzione del mito che diventa allenamento per la decostruzione di tutto quello che è “discorso”, critica di tutto quanto è imposto o che sopravvive per l’inerzia dell’ “è sempre stato così/è così che vanno le cose”.
Be’, tutto questo giro per arrivare al punto che, se ieri notte fossi andata in bagno e avessi visto Santa Lucia, sono sicura che non si sarebbe incazzata. Adesso lo so e non ho paura.
Sorry for the pippa (che pubblicherò senza rileggere) 😉