Il punto di domanda è più che voluto, dato che questa riflessione non rappresenta la descrizione del mio viaggio verso la “meta” Vegetarianesimo, ma l’esposizione di una serie di riflessioni ancora in corso e che, per il momento, mi hanno portata a fare questa scelta. Una decisione che è stata, in realtà, piuttosto tarda: è solamente da Dicembre 2011 che “pratico la via”, con l’addio definitivo alla carne sotto le festività del Natale, poiché non potevo sopportare di smettere di mangiare quella prelibatezza senza salutare almeno il salmone affumicato, alimento che risveglia in me istinti ursidi profondamente radicati nella coscienza dell’animale-totem che mi porto sul groppone (che io sia un’orsa è evidente e la mia provenienza geografico-culturale -Friuli- ne è solamente in parte responsabile).
Ho spiegato a tutti che volevo provare a vedere se per il mio corpo la carne era veramente indispensabile, se avrei patito, se mi sarei pentita, se avrei restitito. Un esperimento, insomma. Però, per quanto vera, era la spiegazione più facile e più tranquillizzante per coloro i quali mi stavano attorno: come spiega Jonathan S. Foer in Se niente importa… il cibo non è solo carboidrati e proteine, ma cultura, una cultura che ci colpisce molto meno in testa e molto più profondamente, pertanto è difficile da razionalizzare ed ogni minaccia ad essa è vissuta come una minaccia alla persona che la sente come propria. Ok, magari Foer non l’ha detto esattamente così, ma, maldestramente traducendo, è come l’ho capita io. La verità è che avevo già iniziato a pensare.
Una donna che porto nel cuore era (e immagino lo sia ancora) vegana ed antispecista. Che io ricordi, era la prima volta che venivo in contatto con questa realtà. Sì, dei vegani avevo già letto qualcosa, ma non ne comprendevo le ragioni né avevo mai approfondito l’argomento, mentre l’antispecismo era un topic totalmente nuovo. Il contatto con una persona che potesse rispondere alle mie domande e chiarirmi i dubbi mi ha aiutata a vedere il mondo da un’atra prospettiva (tra l’altro, che pazienza: immagino di non essermi rivelata particolarmente originale con lei e di aver sfoderato, pur senza desiderio di polemica e colma di curiosità, ogni tipo di “obiezione” e ragionamento dei carnivori; sì, insomma, di quelli che si trovano anche sulle Veg*-FAQ…). E così ora sapevo meglio cos’erano il veganesimo e l’antispecismo e in che modo si collegavano nella vita di quella persona.
Da lì iniziai la mia serie di private riflessioni. Lo scoglio più grande era sicuramente l’antispecismo, un concetto realmente difficile da accettare: vivendo in campagna, provenendo da una famiglia che alleva galline, conigli e che ogni anno macella il maiale, non ci vedevo niente di strano nel mangiare gli animali. Alla fine era tutto un concetto di responsabilità: di certo sapevo che la fettina non nasceva dal polistirolo del supermercato e che quello, prima, era un animale vivo, ma, pensavo, se il singolo prendeva atto di essere causa della morte di un essere vivente, se rifletteva seriamente su questa cosa, allora avrebbe dato un senso al sacrificio che l’animale aveva “compiuto” (anche se “subìto” era chiaramente il termine più adatto). Mangiare carne senza rendersene conto era per me il solo abominio e infatti inorridivo di fronte a chi, a sua volta, inorridiva nel vedere la bistecca mentre era ancora attaccata alla carcassa da cui proveniva: l’ipocrisia che così si manifestava nel carnivoro che si bendava gli occhi era per me rivoltante. Neppure da piccola la morte degli animali era un reale problema: finita la fase-cucciolo, terminava anche il mio interesse nei confronti di galline e conigli ed ero parzialmente cosciente del collegamento che c’era tra il pulcino ed il pollo che mia nonna mi cucinava. Inoltre, nel giorno prestabilito, chiedevo a mia mamma che mi svegliasse presto, cosìcché potessi vedere come veniva ucciso il maiale che mio nonno aveva portato a casa la sera prima. Sentivo che era una cosa che dovevo vedere; mi incuriosiva il funzionamento della pistola a proiettile captivo. So di aver chiesto, forse la prima volta, se l’animale soffrisse ed ero stata rassicurata a riguardo. Effettivamente non ricordo scene strazianti e, finito quel breve momento, mi avviavo a piedi verso la scuola elementare.
Forse è una leggenda che i bambini sono attratti dagli animali e li amano. Forse sono io che sono strana ma, a parte quel periodo dell’infanzia che non lascia memorie nella mente di chi la vive e che mi è stato riportato dalle cronache famigliari, ricordo di aver sempre avuto abbastanza paura (o ribrezzo) per tutto ciò che non erano (i miei) cani e gatti: le lucertole mi facevano schifo assieme ai ramarri, gli insetti mi terrorizzavano, gli uccelli mi angosciavano con i loro movimenti imprevedibili…e la situazione non è variata di molto. Le lucertole le sopporto solo da un metro, i ramarri e gli altri rettili, invece, unicamente dal secondo piano di una casa. Convivere con i piccioni di Venezia è stato un trauma (e infatti S. Marco non era mai una meta da raggiungere di giorno) e non entro in un pollaio da quando avevo 3 anni, credo, perché i gallinacei mi pietrificano da quando una gallina mi ha beccata per sbaglio mentre aspettavo che prendesse il mais dalle mie mani. Per non parlare delle mie fughe di fronte a farfalle (sì, farfalle), grilli, cavallette e, le peggiori di tutte, mantidi religiose (mi vengono i brividi solo ad immaginarle). Perisino le formiche, se superano la decina, rischiano di sconvolgermi lo stomaco. Degli anfibi non voglio parlare. Coi pesci, fortunatamente, non ho contatti; i paguri al mare mi agitano; gli altri mammiferi sono troppo grandi o veloci o ignoti per farmi sentire a mio agio… Insomma, se fossi una divinità, probabilmente non avrei creato la Terra, ma solo un pallone di plastica per giocare a calcio, considerato che a volte sento di non amare neppure gli umani. Se non altro, di antispecista c’è che non faccio distinzioni…
Insomma, il succo era che non sono mai stata particolarmente portata a provare amore per gli animali e la loro morte affinché potessi mangiarli non era qualcosa che mi sconvolgeva, ma, anzi, era una realtà che, andando avanti con l’età, accettavo come responsabilità personale (pur non provando sentimenti nei loro confronti, sapevo che una vita restava una vita e come tale aveva un valore che doveva esserle riconosciuto).
Col tempo questa riflessione sulla responsabilità è ovviamente progredita e mi sono resa conto che non c’era molta coerenza in ciò che professavo: certo, se fossi riuscita ad uccidere io quella vita, allora avrei potuto parlare realmente di responsabilità, ma farlo per interposta persona, tramite i macelli o i miei nonni o mio padre…rendeva il tutto chiaramente più facile. Ma io sarei stata in grado di uccidere? Era chiaro che non ce la potevo fare. Anche le cavallette rappresentavano per me un problema: pur schifandole ed impazzendo se me ne entrava una in casa, avere il dubbio che il colpo di ciabatta che assestavo non fosse sufficiente a farle fuori immediatamente e senza dolore non mi lasciava pace. Ingrandendo la stazza dell’animale, si ingigantiva anche il dubbio e quindi la mia “immaginata” (perché, contrariamente agli insetti, non mi sono mai trovata di fronte un pollo da ammazzare o un maiale, ad esempio) capacità di porre fine alla vita di un individuo si dimostrava inesistente.
Parallelamente a questo genere di riflessioni, ho iniziato ad informarmi sui metodi di allevamento. Sicuramente la sofferenza a cui erano costretti gli animali all’interno di quegli speciali lager si collegava col discorso di poco sopra, ma a colpirmi maggiormente erano degli elementi che non avevo mai considerato prima: inquinamento e sfruttamento delle risorse. Scoprire che allevare animali era una pesante fonte di inquinamento mi ha lasciata a bocca aperta, ma ancora di più mi aveva sconcertata il rendermi conto che la “produzione della carne” (espressione che mi fa in realtà immaginare una persona che impasta il pane, piuttosto che la morte e macellazione di altri esseri viventi) richiedeva quantità di acqua e cibo che invece avrebbero potuto essere utilizzati per sfamare molte più persone di -per dire- una mucca alla fine del processo di nascita-crescita-morte-macellazione. A sua volta questo discorso si univa alla mia visione del mondo che aveva già da un po’ iniziato a fondarsi sulla critica al sistema capitalista il cui scopo era (è) sfruttare una grande massa di gente inerme e costretta letteralmente a morire di fame per garantire la propria sopravvivenza e l’agiatezza di una numericamente misera fetta di popolazione mondiale.
Credo che, in realtà, sia stata quest’ultima scoperta a far pendere definitivamente l’ago della bilancia dalla parte del vegetarianesimo, ma è chiaro che senza tutto quello che è stato spiegato prima (e che è venuto anche, cronologicamente parlando, precedentemente) non sarei mai approdata ad una scelta di questo genere. Decisione che, ribadisco, non è “definitiva”: so di dover aggiustare ancora parecchio e di entrare ancora completamente nella mentalità. Ad esempio mi viene ancora naturale, a volte, pensare che potrei assaggiare quella fetta di prosciutto che è in tavola, prima di rendermi conto che il prosciutto è un prodotto animale. Oppure so di aver mangiato, per il primo periodo, pane contenente strutto perché non mi rendevo conto di dover controllare bene l’etichetta anche di quello. Nel frattempo, inoltre, ho comprato delle scarpe fatte di pelle…insomma, tutta una serie di azioni “abitudinarie”, causate spesso dalla mia distrazione e altre volte dalla mia ignoranza. Non solo: mi rendo conto che escludere la carne è solo un piccolo passo, perché sofferenza, inquinamento e sfruttamento delle risorse sono strettamente legate anche alla produzione di latte, formaggi e uova (sul miele non mi sono ancora fatta un’idea chiara, confesso); sto pertando riducendo anche il consumi di questi prodotti, cercando di virare verso il vegan. Per ora non posso dirmi decisa a riguardo, perché è un passo ancora troppo grande, per me e tutte le mie rivoluzioni nascono da un’attenta riflessione e presa di coscienza senza sbavature. Non posso permettermi di essere titubante, altrimenti, lo so, mi concederei troppe eccezioni (il modo in cui riesco ad essere estremamente feroce e, contemporaneamente, abbondantemente benevola nei miei confronti mi stupisce), senza contare che devo combattere contro una serie di peccati capitali che causerebbero il mio smembramento immediato una volta all’inferno, data l’indecisione che provocherei in Minosse [citazione colta, olè]:
– gola: il latte e i latticini mi fanno impazzire; non a livelli del salmone, ma la Cleopatra che ha affittato la mia anima a volte mi spinge a produrre spinti sogni di fontane di latte dove immergermi. Le uova non arrivano a tanto, ma uno zabaione cremoso, piuttosto che un ovetto alla Bismark mi strizzano le ghiandole salivari
– lussuria: dove li mettiamo i “giochini con la panna”?
– accidia: la fatica di dover solo pensare ad un menù che sostituisca 7 giorni su 7 uova e formaggi e che sia, contemporaneamente, vario dal punto di vista proteico (tenendo conto che non mangio soia) mi devasta
….
Parlando seriamente, considerato che, ne sono sicura, esiste una soluzione per ciascuna delle obiezioni sollevate scherzosamente qui sopra, il veganesimo può dirsi il passo successivo a quello che ho appena intrapreso, ma ancora non sono pronta.
Perciò, insomma, nel frattempo queste sono le mie idee. Perchè sono vegetariana? Una certa dose di antispecismo (anche se non posso considerarmi una vera antispecista, né un’amante degli animali: sono concetti che, per il modo in cui sono cresciuta, pur capendoli “in teoria” fatico ancora a comprendere -nel senso di “prendere con me” e quindi fare miei), una punta di coerenza (pur con i miei umani limiti) e questioni politiche. Per ora basta, no?
Ah, e, no, non mi è ancora capitato di sentire la mancanza della carne: nessun raptus, nessun occhio iniettato di sangue… Alcuni profumi mi fanno venire l’acquolina in bocca, lo ammetto, ma quel desiderio violento che, quando ancora le mangiavo, mi prendeva a volte per le bistecche al sangue non si è ripresentato, per il momento, né per le fiorentine, né per le sorelle o cugine di altre specie…