Qualche settimana fa mi viene suggerito di andarmi a fare grasse risate con questo lancio pubblicitario: Squillo: official spot. Lo guardo dal primo all’ultimo minuto, in un crescendo di disagio.
Ho sempre provato sentimenti ambivalenti nei confronti di Immanuel Casto: anche quando non ero “politicizzata”, le sue canzoni, pur divertenti per il loro essere dissacrante, mi disturbavano (onestamente sottolineo che non l’ho mai veramente perdonato per uno “sporche mestruazioni” buttato a caso in una strofa solo perché stava in metrica): non era la volgarità, ma la violenza con cui certi concetti venivano espressi. Però, mi dicevo, in fondo si tratta di una sorta di satira e critica alla società bigotta e cattofascista: va bene, no? Insomma, se è così… Ma fino a che livelli può spingersi la satira? Che cosa è accettabile e cosa no? Oppure, più banalmente, cos’è la satira?
“Squillo” è un gioco di carte in cui si impersona un magnaccia che decide come gestire le “proprie” prostitute e può scegliere anche di ucciderle per venderne gli organi. A seguito di un’interrogazione parlamentare che chiede di ritirare dal commercio questo gioco, il Casto Divo incita i propri fan ad attuare una mail bombing; nel testo proposto dal cantante si legge:
Squillo è un gioco di satira che si muove su di un piano di finzione. Non a caso sono state scelte delle illustrazioni. Il che non significa minimamente dare un’approvazione morale ai contenuti del gioco (ammesso che un gioco davvero necessiti di un approvazione morale). Ma fare una parodia di una società grottesca dove la mercificazione del corpo femminile raggiunge il suo apice in prodotti di massa come i cinepanettoni e fa di argomenti come la prostituzione o scandali sessuali la principale forma di intrattenimento giornalistico.
Ora, non credo nella censura. Spesso, anzi, questo genere di cose comporta una reazione inversa, favorendo la diffusione di quanto si tenta di nascondere: è molto meglio, invece, diffondere cultura e, piuttosto, mostrare proprio ciò che si vorrebbe censurare, accompagnandolo da riflessioni sul perché si ritiene che la tal cosa sia pericolosa. Ecco, ad esempio io penso che questo gioco non solo non sia divertente (ma questa è una mera questione di gusti), ma sia profondamente diseducativo nel momento in cui si va ad inserire in un contesto delicato come quello giovanile (ché spesso i fan di Casto sono proprio degli adolescenti, a dispetto del suo essere un esponente di “adult music”) senza una vera spiegazione. Quelle carte, buttate così sui tavoli di ragazze e ragazzi, sono prive di “spessore”: non percepisco nessuna volontà reale di critica, non riesco a vedere la parodia o l’intento “educativo” (non trovo altri termini, sebbene mi renda conto che parlare di “educazione” è forse un po’ esagerato, ma spero di essere compresa). Senza una spiegazione, una voce che accompagni questo gioco e ne esponga gli intenti critici, ogni valore “politico” che sembra voler trasparire dalle parole di Immanuel Casto è azzerato.
Ecco, se si fosse trattato di un gioco in cui donne e uomini, rappresentati dai/lle giocatori/rici, si mettevano sul mercato decidendo autonomamente come vendersi (ossia, se si fosse trattato di prostituzione scelta e non imposta), quel mazzo di carte avrebbe potuto suscitare qualche curiosità in me, perché avrebbe posto l’argomento “prostituzione” sotto una nuova luce, con la potenzialità di risvegliare riflessioni sul diritto ad usare liberamente il proprio corpo senza pudori o divieti cattolici e fascisti. Ma, in una società dove misoginia e sessismo la fanno da padroni, suggerire alla gente che può essere divertente sfruttare i corpi di altre donne anche solo per finta, lo trovo aberrante. E’ proprio perché non viene proposto niente di diverso a quanto esiste in realtà e quindi non avviene nessun ribaltamento che spinga a riflettere che trovo che parlare di satira sia solo una scusa un bel po’ stiracchiata per giustificare una poderosa “caduta di stile” (concedendo che il Casto artista ne fosse in possesso, prima). E mi infastidisce che chi sta cercando di arrampicarsi sugli specchi si riempia la bocca di argomenti quali “la mercificazione del corpo femminile”.
E’ vero, nel testo della mail si legge anche un paragone sui giochi di guerra e di come non si discuta negli stessi termini sulla loro “eticità”. Si tratta di un problema che mi sono posta anche io diverse volte: io che la guerra vera la aborro, non disdegno qualche partita a “Risiko”, per fare un esempio. Eppure nel giocare a spartirmi il mondo non provo disagio. In fondo le persone non compaiono mai sul tabellone; non ci sono popolazioni da sterminare e sfruttare, ma solo una lotta “tra pari” dove gli stessi giocatori, ossia le parti vermente in causa, non sono altro che un insieme di carrarmati di plastica colorati: non è la loro individualità a scendere in campo e ad essere distrutta; l’idendificazione con il grande generale o con un esercito intero non è richiesta, né sentita particolarmente da chi sta giocando… Certo, così non si risolve la contraddizione tra “guerra sì” e “prostituzione no”, ma sicuramente spiega bene il mio disagio e la sensazione che da ora in poi, Immanuel Casto non mi farà più ridere.