Mi manchi.
La sento quella cosa nello stomaco e anche un po’ più su: è l’assenza di qualcosa, di parole, della tua voce, degli scambi intelligenti, dell’assenza di giudizio. Sì, mi hanno detto che si chiama “nostalgia”, eppure non ne comprendo esattamente il significato o, meglio, il senso: che ragione ha di esistere? So chi sei e cosa rappresenti: sei la solita conoscenza virtuale diventata reale in un’occasione troppo breve. Però il tempo passa, solo che io, invece di dimenticare, ricordo, ricordo costantemente come un ingranaggio rotto. E quindi mi ricordo di te, delle parole, voce, scambi intelligenti e assenza di giudizio. Che ora mi mancano. Il mondo va avanti e, chissà, forse la gente “normale” lascia scorrere. Continuano a dirmi (anche io me lo dico da sola) che le relazioni si costruiscono con le persone “vere”, quelle che si possono incontrare per un caffé e non se ne stanno a mezze giornate di intenso viaggio di distanza. Io ci credo, ci credo intensamente e cerco anche di costruirmele, queste relazioni (soddisfacenti e ricche alcune, di puro svago e necessarie per una parvenza di vita sociale altre), però mi succedono anche di queste cose. Cose che l’aria di primavera non aiuta a gestire tranquillamente.
Te l’ho detto, che mi manchi. Non ti ho detto che vorrei non fosse così, perché smetterei di sentirmi strana e fuori posto: non mi spiego queste emozioni, eppure le provo. Dare loro un nome mi fa sembrare infantile ai miei stessi occhi, come quando dico (a bassa voce e non a tutt*) che “amo”. Amo così spesso che non può essere reale: non era un sentimento nobile e prezioso? Quello che provo io è, invece, tutt’altro che raro…e allora, chi ha ragione? Mi domando se non mi stia inventando tutto, cercando solo scuse per sfogarmi un po’, esperimenti per esprimere quello che invece di solito non sono in grado di portare fuori da me, perché le relazioni con le persone le trovo così difficoltose, complesse e delicate, tanto da lasciarmi spiazzata e un po’ spaventata, rigida e chiusa, timorosa di rompere gli inestimabili cristalli in cui sono scolpite. E da quella mia fortezza osservo tutto e tutt* e, a volte, penso “Ora l* dovrei abbracciare…l* vorrei abbracciare”, ma non lo faccio mai, se non in momenti in cui cerco di cogliermi di sorpresa per sfuggire al mio stesso controllo e allora, da fuori, mi pare un gesto impulsivo ed ingiustificato di cui pentirmi presto, privo di equilibrio, un picco roccioso improvviso dopo un placido susseguirsi di colline.
Odio il fatto che mi manchi: mi fa sentire indifesa ed inutile. Scomposta. Troppo, troppo umana, in balia delle emozioni, mentre aspetto con ansia che tu mi risponda.
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