Riflessioni, percezioni, pregiudizi.

Temo sia il karma: la Ruota del Tempo che Macina Eoni mi sta facendo tornare allo stesso punto da qualche tempo. In prigione, senza passare dal Via. E quindi, mentre dovrei lavorare e invece cerco sul Tubo una playlist a caso di Gianna Nannini (perché ora mi è preso il suo trip e non posso fare altro che assecondarlo sognando che un giorno la incontrerò e la porterò fuori a bere un succo di frutta -mentre a Regina spetta un caffé, o un pranzo), mi capita uno di quei maledetti spottini che aspetti passino cinque secondi per skipparli sperando che non inizino a parlare nel mentre. E invece questo inizia a parlare, ma qualcosa mi impedisce di saltarlo e finisce che lo guardo tutto. Non paga, dimentico Gianna (mi perdonerà: le scriverò una lettera, ché sono brava a farlo, e mi perdonerà) e mi metto alla ricerca proprio della pubblicità, trovandola.

Alla fine piango come una fontana: parla della percezione di sé e di ciò che, invece, vedono le/gli altr*. Chiaramente si limita all’aspetto esteriore, ma lo spunto potrebbe tranquillamente estendersi a tutta la persona: carattere, capacità, comportamento…
E’ una domanda che mi tortura spesso: cosa vede la gente, in me? Cosa viene percepito, al di là di quello che posso dire o non dire? Nei momenti particolarmente bui mi domando che gusto masochista provino certe persone ad avermi intorno o, se proprio voglio farmi male, a cosa “servo” -perché deve esserci un secondo fine per forza, per frequentarmi. Non che succeda spesso: la maggior parte delle volte mi limito ad essere stupita e a sperare che nessun* si accorga di aver commesso un enorme sbaglio. Provo a non rilassarmi troppo, a non aprirmi e a stare sempre all’erta. Tento di controllarmi il che, chiaramente, non succede sempre, perciò qualcosa di me, di “Profondamente Me” esce. Sono sicura di averlo già detto, tutto questo, proprio in questa sede, però è evidente che non ho superato la cosa o, se devo usare terminologie corrette, il problema. Perché si è in presenza di un problema quando c’è qualcosa che ti blocca da qualche parte, che ti condiziona l’esistenza, che rimane fisso nei tuoi pensieri e ti costringe ad essere completamente vigile, quando non -tremenda confessione- a immaginarti scene intere e a fare “le prove” di quello che potresti dire, valutando diverse reazioni e prospettive, in modo da essere sempre pronta a tutto o quasi. La cosa ridicola è che poi penso: ma se la gente mi frequentasse solo perché sono brava a fingere? Se fossi veramente un’ottima attrice? Il solito dilemma dell’incanto d’Amore: faresti mai bere un filtro alla persona amata che però non ti ricambia in modo che s’innamori di te? E quanto tempo ci metterebbe il tarlo del dubbio (o dell’egocentrismo) a perforarti qualche parte di cervello in modo che la domanda cruciale possa filtrarti nella coscienza: “Mi amerebbe così come sono anche senza pozione?”
Allora mi domando: cosa di me viene fuori? Cosa vede la gente? E, soprattutto, ci vede giusto? Questa pubblicità mi ha scaraventata in un pantano di pensieri: da una parte mi piacerebbe sapere come vengo vista. Dall’altra so -lo so bene perché me lo ricordo lucidamente- che in molt* (o alcun*: ho paura di contare -ammesso che la matematica valga qualcosa- per scoprire che sarebbero comunque, troppo poch*) hanno detto cose estremamente belle sul mio conto. Sono consapevole anche di non crederci a fondo, però. E mi domando quanto il filtro della mia “presenza” (il fatto cioè che io stessa sia la destinataria delle opinioni espresse su me medesima) non influenzi i modi di esprimersi di chi ho (anche virtualmente) di fronte.
Si tratta di pensieri vagamente circolari, fatti di, “sì, ma” e “no, però”. L’unica cosa reale ed effettiva sono io ed il mio comportamento, il mio modo di cercare una via di fuga o, almeno, un modo per difendermi dall’esterno. Salvo poi sentire un disperato bussare da dentro e delle grida: “Vedimi! Ti prego, vedimi!”.
Forse è per questo che scrivo: mi sembra di riordinare i pensieri, mi sembra di dare una disciplina al tumulto interiore e mi sembra di permettere a molte cose di uscire. Anche se non so per chi: credo soltanto che necessitino di stare fuori, respirare. Esistere in qualche modo, solo per il fatto di essere state nominate. Insomma, vorrei che qualcun* mi vedesse e vorre che nessun* mi vedesse (verrebbe a mancare altrimenti qualsiasi protezione o nascondiglio) e quindi scrivo a tutt* e nessun*. Così non sono proprio io, o non del tutto, e invece sì, almeno un po’.

E non desidero, eppure muoio dalla voglia di sapere che cosa capisca di me la gente che ho intorno…

 

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