Fiumi di latte, come dire “tanta grazia”: sono giorni che sono felice, felice come non mai, su di giri, sorridente e spensierata.
Lo so di cosa è colpa: è stato il Feminist Blog Camp. Non sono in grado di dare una valutazione politica dell’evento, in quanto mi considero immatura da questo punto di vista: ho molto da imparare e molta voglia di ascoltare milioni di versioni, prima di riuscire a dare forma al mio pensiero. Questo in generale; sui movimenti femministi e quanto orbita loro intorno, poi, è ancora peggio. La verità è che so molto poco. Potrei dire di sapere di non sapere, se questo non fosse una frase indubbiamente inflazionata e pure snob, pregna di falsa modestia.
Però posso parlare a livello personale di quello che ho sentito e che continuo a provare, cosa che sto dicendo a tutti, elargendo entusiasmo a fiumi su chiunque abbia la sventura di starmi a sentire: momenti di pura felicità. Mi sento come se fossi innamorata e consapevole di essere ricambiata (in effetti una mezza cotta temo comunque di essermela presa sul serio, ma questo è un discorso a parte): non avevo mai vissuto la realtà del centro sociale e l’Askatasuna è stata una sorpresa. L’aria che si respirava era pacifica ma determinata: un posto che sapeva di esistere e che dichiarava il suo diritto a essere nel mondo con una pacata decisione da lasciare sorpresi; non chiedeva permesso, non bussava. Se fosse stata una persona, avrebbe avuto gli occhi luminosi e un’espressione del viso distesa.
E invece di persone ce n’erano molte, non solo una, come dentro un alveare, ma senza regine. Oppure pieno di regine, non lo so esattamente, perché nessuna era riverita, ma tutte collaboravano seminando, nel loro muoversi da una stanza all’altra, da un impegno all’altro, un’energia che mi faceva solletico all’ombelico e ridacchiare come incantata.
La cosa di cui mi sono subito stupita è che la maggior parte di quelle facce mi erano familiari, sebbene avessi frequentato alcune delle presenti solo tramite mailing list e blog. Non solo: erano tutte belle! Era pieno di belle persone: ovunque mi girassi, sentivo che avrei potuto innamorarmi di una qualsiasi di loro. O di tutte, giusto per non farmi mancare nulla.
Se ripenso al viaggio in treno, affrontato da Udine (con partenza alle 6:30!), mi viene da sorridere: nonostante la levataccia, non riuscivo a dormire. Mi sentivo come se stessi andando ad un appuntamento al buio (espressione che rubo alla ragazza che viaggiava con me quel dì, che aveva già provato la stessa cosa mentre si dirigeva all’Hackmeeting a Firenze). Non che avessi in testa delle aspettative: era il puro entusiasmo di incontrare finalmente un’amica dopo una lunghissima lontananza.
Non sono in grado di citare tutte le persone che ho incontrato: chi ho riconosciuto tra la folla per averla sentita nominare o per una “sensazione”, chi mi è stata presentata, e poi chi non avevo invece mai conosciuto prima, ma con cui sono riuscita subito a parlare (io! Patologicamente timida come sono!), come se fossimo già unite da qualcosa e questo non fosse altro che un appuntamento fissato dal destino (rileggendo questa frase, confesso che sembra molto più epica di come l’ho pensata nella mia testa).
Ho amato tutte quelle sorelle e fratelli e non li chiamo così senza un motivo: mi sono sentita casa.
Allora dedico il mio pensiero felice ed innamorato a loro (in ordine assolutamente sparso e pure se di me non si ricordano): Furiosa; Lafra; Fikasicula; Drew; Lucha; le ragazze del Video Box e le ragazze di Bologna (sono una frana coi nomi, sigh); Slavina, la sua bimba e Kevin; Valentine (si scrive così? Ve l’ho detto che sono una frana coi nomi); un sacco di volti senza nome ma ricchi di sorrisi; nomi che iniziano con la D, ma che non so proseguire; Jo; i tre ragazzi con cui ho ballato sganasciandomi dalle risate; le dj; la ragazza che faceva una tesi di laurea sulla Medusa; tutte le persone che ho incrociato sulle scale, nei corridoi, nelle sale e con cui ho scambiato, magari, solo la parola “permesso”, o magari neppure quella, ma il tutto condito da un sacco di sorrisi.
A tutti gli sguardi luminosi e a me, ancora intontita e stupita, che continuo a camminare a mezzo metro da terra.
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