Album di famiglia

Io lavoro. In questo momento pare un lusso da sfoggiare come un collier di oro bianco, però lavoro e non è una cosa così gaia. E’ un contratto di collaborazione a progetto, ovviamente, ma non ho intenzione di parlare della formula che mi incatena, bensì di ciò che vedo mentre sono alla mia scrivania. Devo dire che è molto interessante, perché mi dà uno spaccato della realtà che, altrimenti, avrei ignorato: sono a contatto con il lavoro domestico. Badanti e colf non hanno segreti per me (si fa per dire) e mentre faccio quello che devo, mi capita di ascoltare delle storie:

– Il vecchietto ottantenne che si deve far pulire il culo perché non è in grado di arrivare neppure fino in bagno ha invece la forza necessaria per allungare le mani fino alle tette della sua dipendente e/o al suo pisello che tenta diligentemente di smenarsi, con la giustificazione che “Ma dai: sono un uomo!”. No, non sei un uomo: sei uno schifoso schiavista, così infarcito di senso di superiorità che non ti rendi neppure conto di quanto sei patetico. Ti caghi addosso, ma la bella marocchina (o tunisina? Che ne sai? Che differenza fa per te?) che paghi una miseria per evitare di affogare nelle tue feci dovrebbe esserti grata per questo e, anzi, ti stupisci che non sia così accondiscendente e che non si offra lei di farti una sega o un pompino. Sarà che lei ha davanti a sé un corpo in decomposizione e riesce a vedere soltanto il contenuto del tuo pannolone, quando ti guarda. Sarà che, per quello che la paghi, è già tanto se ti tocca con le sue mani, invece che usare delle pinze, per poter mettere la maggior distanza tra sé e te.
Oh, ma è solo un povero vecchietto, in fondo. Non fa un misto di pena e simpatia? Sono solo io che sono crudele e cinica.

– La famiglia benestante con villa non ha abbastanza soldi per assumere regolarmente una serva dell’est e pagarle i contributi. In realtà, a pensarci bene, non ha neppure abbastanza spazio in casa per ospitarla, dopo che ha fatto la notte a seguire la nonna sul finire della sua vita, perciò appronta nello scantinato una comoda cameretta con tanto di stufa, ove la donnina possa riposare durante il giorno. Peccato che la vasistas dia proprio sulla parte del cortile dove gli angioletti di casa amano giocare a calcio. Anzi, deve trattarsi proprio della zona di porta, considerato il numero di pallonate che continuano a rimbombare sul vetro. E, ovviamente, come si possono privare i bambini del divertimento?
Ah, e prima di finire il turno, vedi di stirare tutta quella roba, lavare la biancheria di mio fratello (ché, poverino, è solo) e dai una passata al soggiorno: non vedi in che condizioni è?

– Un uomo di buon cuore cerca disperatamente qualcuno che lo aiuti a badare alla moglie molto malata: la vuole giovane e sorridente. Dopo il colloquio privato mi è stato riferito di strane domande che non si riferivano affatto alle mansioni di accudimento di una donna allettata…

– Un figlio premuroso cerca una donna per assistere l’anziano padre. “Se possibile Etiope. Sa, mio padre, da militare, è vissuto là per un po’. Sarebbe come un salto nel tempo: si sentirebbe a suo agio. Saprebbe trattare con lei”.
E la bella abissina è servita. Spero che abbia la faccetta abbastanza nera.

– Una voce di uomo istruito si lamenta al telefono delle pretese della sua lavoratrice, alcune delle quali decisamente legittime: “No, ma io non sono razzista, si figuri: mio padre è stato partigiano e, se fosse il caso, anche io lo farei, ma non ne posso più di tutta quella gente che viene qua e continua a vivere sulle nostre spalle!”
Spero davvero che non sia mai “il caso”: non vorrei trovarmi a dover contare su persone così assolutamente non razziste.

E poi voci di donne, lavoratrici e datrici di lavoro, stanche da morire, confuse, disperate, costrette a seguire una situazione che grava totalmente sulle loro spalle a volte pagate e a volte no. Storie di sofferenza, di situazioni famigliari difficili ma che nessun altro si prende la briga di gestire.
E quindi tra ricatti economici (cosa non si fa per il pane ed un permesso di soggiorno…) e morali (ma è tu* parente! Non sarai mica una donna senza cuore!?) tocca rimboccarsi le maniche e tapparsi il naso. Tocca rinunciare ad una vita, perché lavorare con un contratto di convivenza significa poter passare, in media, solo 36 ore a settimana fuori da quella maledetta casa-prigione. E cosa vuol dire vuol dire dover lavorare, cercare di essere autonome e venire invece costantemente trascinate indietro, verso la famiglia, questo luogo d’amore che vi incatena ai vostri doveri?

Ma o va così, o siete delle donne degeneri. Tutto qui.

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