Romamara/Romamata

Roma, perché avrai per me sempre due facce?

Arrivo in treno
Dolci pendii e sole. Sembra caldo. E’ sempre sembrato caldo, quel paesaggio, anche in inverno: forse sono le curve che ingannano. La vegetazione è diversa e penso di essere in un mondo diverso. C’è qualcosa in quella luce, una sorta di trasparenza diversa dell’aria che mi fa sospirare.
E’ sempre sembrato caldo, anche mentre il cuore lottava per raffreddarsi.

Stazione
Sembra lo stesso binario di tre anni e passa fa. Forse è proprio quello. E quella è la stessa panchina, ma con un’altra attesa. Leggo, mi godo il sole che al Nord non vedo da secoli, pare, e a volte alzo lo sguardo. Dalle scale mobili non funzionanti potresti salire da un momento all’altro: com’eri vestita? Ricordo che ho voluto aspettarti al binario: uno strano capriccio che ancora non mi so spiegare. Forse lo rendeva più romantico. Magari ero solo una ragazza infantile ed immatura. Non so se lo sono ancora. Egoista sì, quello è certo. Però oggi non è tre anni fa: oggi ci saranno altri incontri. Fa caldo, ho braccia e guance bollenti e l’odore dell’aria è buono come può esserlo solo in una stazione: sa di attesa, di possibilità. E sento anche l’odore della mia pelle calda. Lo trovo un buon segno.

Incontri
E’ una sera bella. Sto bene. Attorno a me tutt* sono così bell*.
Potrei iniziare un’orgia da un momento all’altro.

Notte
C’è tempo per il sonno: adesso voglio soltanto parlare. No, in realtà non parlo tanto, mi sembra, eppure, nel mio silenzio, non sono ignorata. Siamo tutt* present*.

Turismo
Parlare ancora. Ridere. Pensare. Condividere. Guardare.
Non so descrivere.

Concerto
C’è tanta gente, ma non parlo con nessuno, se non per chiedere un’informazione. La gente (quella gente) non mi piace, sembra così lontana da me. A volte ho paura che ridano di me, ma non riesco a sentire. Quando mi fisso mi prende male e allora non parlo. Tanto non saprei che dire…
Mi dà fastidio quel tizio che a volte sembra osservarmi quando canto e mando baci -non voglio conferme che stia proprio guardando me, perciò non mi volto dalla sua parte. Mi dà fastidio la tizia che inizia a fumare appena si spengono le luci, nonostante i chiari divieti. Mi danno fastidio tutt* quell* che non seguono l’onda dell’acclamazione, o quella dell’applauso, però non lo faccio neppure io: mi sembra che siamo tutt* sol* o, chi è più fortunat*, in gruppi ristretti, come se l’amore per l’artista non ci accomunasse così tanto.
Il tizio di prima e la morosa (è chiaramente sua: lui è rimasto dietro di lei ad abbracciarla per tutto il tempo: che strana sensazione, sembra che, così facendo, ci stia pisciando sopra marcando i suoi possedimenti. Forse vedo tutte le cose distorte) non si mettono a ballare selvaggiamente neppure su “America”; neppure la cantano: ma che razza di fan siete? Adesso li meno.
No, ma chi se ne frega: lei è lì che canta. E’ stupenda. Quando va dietro le quinte seguita dalla telecamera e si spoglia per cambiarsi sto per morire. Si fa riprendere la pancia. Vorrei vederle una tetta: è peccato? Sta di fatto che continuo a volerle vedere una tetta. Almeno una, dai. Però anche la pancia era bellissima: mi ha messo una voglia addosso…
E poi canta e ci mette energia. Secondo me un paio di volte mi ha guardata, però non ne sono certa come per Regina. Le stavo mandando un bacio. Ha fatto un cenno. Sì, potrei convincermene ed è bello.
Torno a casa che sono felicissima. Sto bene, benissimo, e traspare, tanto che mi si chiede se ho “giannananninizzato i capelli”, perché mi stanno diversamente dal solito. Sì, dev’essere l’entusiasmo. Mi sa che la amo ancora di più.
E poi, chiaramente, la notte stessa la sogno. Mi chiede quale sia la canzone che mi è piaciuta di più. E’ “America”, ovvio. E poi ci abbracciamo. Che bello.
Sono come una bambina.

Saluti
Sono meno malinconica di quanto dovrei. La verità è che sono ancora troppo felice di quell’incontro e gli abbracci mi piacciono.
Poi vado in giro da sola, godendomi ancora la pacata felicità di un tardo pomeriggio primaverile.

Museo
Sono sempre sola, ma sto bene: ho un piano e so come portarlo a termine. Del resto della gente me ne frego, perché sembra che loro se ne freghino di me: amo questo genere di compromessi.
Continuo a stare bene e a godermi la storia antica fino a quando è la tecnologia a rovinare tutto. Voglio provare un giochino multimediale. Entro nello spazio dove la telecamera può recepire i miei movimenti ed il programma agire di conseguenza. Il training va bene: ho capito tutto. Poi è ora di fare sul serio, ma arriva gente. Una comitiva di tardo-adolescenti si ferma a guardare ed io realizzo di essere da sola in mezzo ad uno spazio enorme con loro dietro di me che mi guardano. Non riesco a muovermi: ho piena coscienza del mio corpo che, se mi astraggo e lo osservo da fuori, mi sembra ridicolo. Non riesco a fare nulla: anche il minimo movimento del braccio mi sembra difficile e stupido. Dietro di me loro commentano. Neppure capisco che lingua sia: per una volta non mi interessa, tanto so già cosa stanno dicendo. E ridono. Poi qualcun* si lancia in frasi italiane. Chiedono con sarcasmo di giocare, qualcun*, in inglese, mi dice di fare qualcosa, qualsiasi cosa, per mandare avanti la scena ed io non riesco a capire. Neppure ce la faccio a leggere le istruzioni. Mormorano, mi parlano ad alta voce, finché cedo, mi giro e me ne vado. Uno di loro sta entrando nello spazio ed io gli vado addosso con violenza. Lo spingo col mio corpo facendolo indietreggiare; spero di fargli male mentre lo guardo negli occhi, continuando a stargli addosso pancia contro pancia, ghignandogli contro “I’m sorry, I’m sorry”; però non ci riesco (la mia pancia è morbida, alla fine…)  e me ne rammarico -a posteriori penso che avrei dovuto dargli un pestone sul piede: non ho mai i riflessi pronti in queste situazioni. Vado via dalla stanza senza guardare nessun* mentre tutt* ridono e mi fermo in un angolo della stanza successiva a rileggere almeno dieci volte la targhetta che spiega cosa è esposto in una vetrina, ma non sono in grado di capire.
Se solo ci fosse stata almeno una persona a tifare per me, lì, a difendermi, a darmi un po’ di protezione. E invece ero sola e avevo paura e vergogna. Non dovevo neppue provarci e mi maledico per aver pensato che potevo divertirmi a giocare. Sono incazzata con loro e me. Mi sento umiliata. Perché non riesco mai a reagire in queste situazioni? Perché vorrei ancora adesso essere riuscita a dargli almeno una gomitata nelle costole, come se ciò avesse potuto essere la soluzione finale di questo mio problema?

Ultima sera
Giro in motorino: l’aria della sera è fresca e mi diverto. Sa di libertà e mi mette dentro qualcosa di dolce, come una sorta di nostalgia, o la concessione a sognare un po’.
Cena e persone. Sto davvero bene, colma di affetto.
Al ritorno racconto cose che solo in questi giorni sono riuscita a condividere: è l’aria di primavera, credo.

Fine
Certa gente non mi fa paura. Con certa gente sto bene, perché non mi fa sentire “perfetta” (cosa che mi metterebbe ansia), ma perché mi “fa sentire”. Io ci sono, con certa gente. Sono lì con loro, mentre ci parlo o quando ascolto, e non altrove, in un mondo immaginario con persone immaginarie, illusioni, proiezioni o aspettative.
Certe persone mi fanno pensare; mi fanno stare bene ed essere melensa. Con certe persone giocherei a nascondino al parco e pazienza se mi trovano: non mi sentirei mai sconfitta.

Roma, avrai per me sempre due facce: triste solitudine e bellezza. Ma forse non importa: sarà giusto così.
Ho deciso che strette al cuore, che siano di malinconia o amore, mi piacciono.

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