Urobori, psicomaghe e pregiudizi

Ho appena trovato questo e credo di avere il cervello in pappa: mi è appena schizzato verso il cielo, sfracellandosi, ovviamente, sulle parietali. Sto tremando come mi capita in occasioni specifiche che generalmente collego ad un grande accumulo di energia in previsione di un rilascio improvviso (troppo vari gli esempi, per spiegarlo meglio: si va dall’emozione di una “confessione” alla preparazione rituale, perciò non aggiungerò altro); sono sicura che non è il freddo. Il freddo non mi dà quella sensazione nel centro della pancia e in fondo alla gola.
Non l’ho fatto: non ho completato l’atto psicomagico; l’ho solo letto per cercare di comprenderne la struttura e mi è piaciuto da impazzire. Se è quello l’effetto che fa a leggerlo, posso immaginarmi cosa sia metterlo in pratica.

Il tutto mi fa pensare che ultimamente sono proprio in cerca di momenti che mi permettano di levare la “maschera sociale” e di andare a fondo, oltre alle illusioni impostemi dal sistema in cui vivo, fatto di stereotipi, pregiudizi e plastificazione, immobilizzazione di tutto ciò che è -o dovrebbe essere- naturale espressione dell’umano. Per riuscire a spogliarmi di tutto quel lerciume, spesso è necessario cogliermi di sorpresa: devo fare qualcosa di inspettato, formulare un pensiero velocissimo, oppure proiettarmi al centro di una qualche scena assurda. Questo -oltre a essere un becero trucco- provoca in me delle reazioni e, sulla base di ciò che sento, posso andare a muovere quelle che sono le travi più pericolanti della struttura e mettere in discussione l’apparato su cui appoggio l’intera mia visione del mondo.
E’ un lavoro di merda, perché mi fa entrare facilmente in crisi di angosica incredibili. Allo stesso tempo è un lavoro pieno di soddisfazioni (nonostante la mia fobia verso questo genere di pensieri, devo accettare l’idea che l’essere umano sia una contraddizione ambulante): infatti mi eleva a picchi di illuminazione colmi di gioa indescrivibili e quando si è lassù, ogni cosa -persino io- pare al suo preciso posto.
Insomma, vedo il wyrd (e la gente morta, aggiungerei).

Nel bel mezzo di uno di questi esperimenti, mentre mi ponevo una domanda sui pregiudizi, mi sono resa conto di averli tutti. Ah, sì, proprio tutti quelli che la società ha voluto che sorbissi col latte materno (mento, comunque: non sono stata allattata, per via di una qualche ipotizzata -poi rivelatasi una panzana- malattia di mia madre. Strano ma vero, non ho mai sviluppato la mania delle tette a reazione di questo mancato contatto infantile. …no, scherzavo: io c’ho la mania di tutto…). Insomma mi hanno farcita come una sugosissima torta: zingari, negri, froci, rumeni, albanesi, trans, puttane, donne… E questa cosa mi fa incazzare, perché so io, adesso, la fatica che devo fare per non far partire il pensiero automatico, per lavarmi via queste idiozie che ho stampate in testa. La cosa peggiore, poi, è il senso di superiorità che la “politica dell’esclusione” instilla a chi la pratica e credo che sia su questo che si fonda il fascino del pregiudizio. Noi siamo quelli giusti, belli, potenti e loro gli esseri inferiori: dai, non si può negare che sia piacevole elevarsi sul trono e osservare così tutti quelli che “mi ameranno, disperandosi” [saluto Galadriel di Lothlorien che ha prestato voce ai miei pensieri e tutti quelli che mi conoscono]. Dei, il senso di superiorità è come una droga in un sistema in cui ciascuno viene costantemente schiacchiato verso “nessuno”, dove siamo solo macchine. Non solo: il pregiudizio fomenta la paura e la paura immobilizza gli animi.
Ma non vorrei sembrare troppo banale (in pratica vi sto chiedendo scusa perché è proprio ciò che sono): sto parlando in termini generici, ma in realtà mi riferisco a me e me soltanto. So l’effetto che fa su di me il pregiudizio e, in definitiva, lo odio. E’ una dannata trappola con la quale potrei convivere abbandonandomi all’ignoranza, se solo non coltivassi il gusto della lotta ed il tedio per lo status quo. Certo che per farmi criticare lo stato delle cose (a me! Che sono del Toro, il famoso segno che non cambia mai nulla, nella celebre barzelletta delle lampadine) devono avermi proprio martoriato le ovaie.

E quindi, in conclusione, ho detto tutto e niente. Mi sa che dovrrei scusarmi: sono una blogger imperfetta ed una persona in via di ricostruzione e sto cercando di risolvere almeno una delle due cose (anche se non ho capito esattamente quale sia).
Non sarà facile. Amiamomi comunque.

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