Cibo per l’anima

Sono sempre stata cicciona. E’ così che mi chiamavano all’asilo e alle elementari. Alle medie i meccanismi della socializzazione impongono una modificazione del linguaggio, e allora sono i gesti, i non detti o l’ironia ad esprimere lo stesso concetto. Come essere eletta “miss classe”, prima della votazione vera. C’è di buono che ero simpatica e mi prendevo in giro anche io, perché l’avevo imparato all’asilo: se ti fanno schifo i vermi, gioca coi maschi a tirarli fuori dalla terra, così non te li butteranno addosso per spaventarti. E a me facevano schifo, i vermi, perciò ridevo anche io di me e i miei compagni di classe si divertivano. Io anche, è chiaro: mi sentivo accettata. Mi chiamavano alle feste e a volte volevano farmi provare a fumare le canne o le sigarette normali: ero una di loro, insomma, anche se poi le canne e le sigarette non le fumavo.
Alle superiori ero amica di tutte e tutti: intelligente e simpatica, anche se brutta. Non mi sono mai sentita particolarmente sfruttata per i compiti e penso di non esserlo stata, e poi capitava pure a me di copiare. So di essere stata esclusa da qualche festa estiva a casa di “quelloriccoconpiscina” -mio compagno di banco, tra l’altro- ma, a pensarci bene, non avrei mai avuto il coraggio di mettermi in costume da bagno di fronte a loro: se le mie compagne di classe si commiseravano per il culone, che cosa dovevo dire io, che non ricordo un giorno senza di lui? Il bello è che non so perché: perché si è ciccioni già da piccoli? Dovrei dare tutta la colpa ai miei genitori o ai nonni? Si dice che buttarsi sul cibo sia un modo per combattere il senso di abbandono e la carenza di affetto: è possibile sentirsi così già da piccoli, con una famiglia alle spalle che definirei buona, senza traumi che io sia in grado di ricordare, senza liti, sberle o cinghie, senza quelle storie terribili che, invece, a volte si sentono? Certo, mio padre lavorava sempre, così come lavora adesso e mia madre idem: passavo la giornata divisa tra asilo (che mi annoiava, perché sapevo già scrivere, al momento dei miei ricordi di quel luogo) e la casa dei nonni materni che straviziavano me e mia sorella, forse per reazione alla loro, di infanzia. Ricordo con quanto gusto mangiavo i panini al prosciutto e maionese della merenda, rigorosamente accompagnati dal succo di pera. Quando a tre anni ho smesso di andare alla scuola materna perché stavo male (mi mangiavo le unghie e pregavo ogni mattina i miei di lasciarmi andare a scuola con mia sorella, invece di quel postaccio insulso dove ero costretta), ricordo che mangiavo anche la pastasciutta (PAUSA UN ATTIMO: non fa riderissimo questa parola? Pastasciutta…Ahahahahaha a me da morire!) a casa della nonna. Faceva un ragù buonissimo, che non ho mai più mangiato altrove. Oppure i crostini col gorgonzola, o le bistecche impanate, le patate al forno, la pasta al burro col prosciutto, la minestrina in brodo piena di “farfalline” e con un fondo di formaggio grana di mezzo centimetro di spessore…
Ormai lo so: la maggior parte dei miei ricordi, da piccola, riguardano il cibo. Il “viaggio” a Venezia? Un ristorante in cui si entrava scendendo due scalini e dove ho mangiato sogliola e, per la prima volta, una polentina quasi liquida. La vacanza a Gardaland e i laghi? Un piatto di pasta al ragù in cui tentavo di fare la scarpetta, prima che il cameriere me lo rubasse -salvo poi restituirmelo a causa della mia espressione di puro sconcerto e la richiesta di mio padre (“La bambina deve ancora finire…”). La visita ai lontani parenti di Latina? La pizza. Mia sorella sostiene che fosse una colazione, ma secondo me era una cena. Cena con la pizza, che per me equivaleva a dire “festa”. La prima puntata in Sardegna, oltre al mare (ecco, l’acqua mi restava quasi sempre impressa, soprattutto se ci potevo nuotare dentro), equivaleva a pomodori buonissimi e pesce. Quando mia madre domanda se mi ricordo un fatto qualsiasi riguardante la mia infanzia, la prima domanda è “Ma cosa avevamo mangiato?”.
Il cibo, per me, è sempre stato un’ancora, me ne sono resa conto, ma da quali carenze ciò dipendesse non l’ho mai realmente capito. Anche adesso, lo so, quando sono in bella compagnia posso saltare un pasto, oppure mangio pochissimo. Se sono da sola o se non sto bene con qualcuno (per noia, generalmente), allora mangio un sacco. Troppo. A volte penso che cibo e carenza d’affetto, in me, siano collegati in quanto, sia quando mangio che quando mi sento amata, ho caldo alla pancia, che sembra una cosa sciocca da dire, infantile, magari, ma è l’unico modo in cui riesco a descriverlo. La mia non è un’ossessione, sia chiaro: mi piace mangiare e so di avere determinati comportamenti in date situazioni, ma niente che mi spinga verso disturbi più gravi. Una comune risposta psico-sociologica, suppongo.
A proposito di cibo, è da Dicembre che non mangio più carne: il tutto è inziato per vedere che cosa provavo, per sapere se ero dipendente dal maiale, pollo o mucca che fosse. Volevo sperimentare su me stessa non tanto la privazione, quanto il cambiamento. Ho, in pratica, trovato il modo per assumere del cibo in maniera un po’ più attenta: devo pensare a cosa mangio e quanto, devo studiare modi diversi di cucinare i legumi, devo capire come preparare dei piatti veloci almeno quanto una bistecca ai ferri. Non si tratta, mi pare ovvio, di una possibile soluzione al mio rapporto col cibo e con me stessa, però mi rendo conto che la concentrazione e l’attenzione finiscono per entrare in quel meccanismo, anche se non sono del tutto conspevole del modo in cui lo modifica. Nel frattempo, tra l’altro, prima ancora di fare il tentativo vegetariano, ho iniziato a impormi sulla “fame”, cercando di ascoltare il mio stomaco, di non andare oltre al livello di sazietà. Ora, sulla mia agenda, vedo che un anno (e quasi un mese) fa pesavo 17 kg in più. Devo confessare che mi sembra un’esagerazione: non mi paio così dimagrita, anche se molta gente che non mi vede da un po’, come prima cosa mi domanda se io sia a dieta. La cosa mi fa incazzare. No, non sono “la cicciona a dieta” che si vedeva brutta e, per la vergogna impostale dalla società, ha deciso di dimagrire. Sono ancora la cicciona che si vede spesso brutta, solo che adesso cerco di ascoltarmi, invece di ignorarmi. Non sono sicura che questo mi renderà “bella” (non so, esattamente, in quale senso: è un concetto così difficile, quello di bellezza), di certo non voglio esserlo per loro che mi vedrebbero così solo se rientrassi nei canoni stretti quanto un paio di pantaloni a vita bassa (che sono un po’ il simbolo del male, per me). In realtà odio che mi si chieda se sono dimagrita e di quanto, per lo sguardo di soddisfazione che leggo a volte negli occhi di chi me lo domanda, quasi che provassero un senso di fastidio a vedersi circondati da gente grassa ed io, finalmente, avessi accettato di ritornare tra i ranghi del peso forma, ubbidiente e vinta. Mi dà fastidio che pensino che io tenti così di essere bella, nel senso in cui lo intendono loro. Sì, io vorrei esserlo, vorrei esserlo davvero, bella, come sono stata bella a dire la verità, o quando ho baciato per la prima volta una ragazza che mi piaceva da morire, oppure ho sorriso senza dire niente -perché volevo solo sorridere- ad una bella donna. Io voglio essere così. Bella così.

E, cazzo, questo post non ha neppure un filo conduttore, non arriva da nessuna parte e sono già stufa di scrivere. Ecco.

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2 risposte a Cibo per l’anima

  1. amara scrive:

    E’ così banale, però ti ringrazio.
    Insomma, ci ho messo tanto ad approvare il messaggio (ma solo perché non entravo nel blog da un po’) e anche per rispondere..e alla fine esce solo un grazie: sarà una fase ermetica, chissà…

  2. slavina scrive:

    ma tu SEI bella!

    solo che essere sovrappeso é portarsi appresso uno zainetto che (anche se ci sei abituata) rende i tuoi movimenti piú faticosi.
    e aver cura di quello che una mangia e non tapparsi la bocca e consolarsi con il cibo denota certa maturitá emotiva. daje cosí!

    te lo dice una che é sempre tendenzialmente bulimica (sto male=apro la bocca e metto dentro qualsiasi cosa commestibile) ma nell’adolescenza lo era in maniera drammatica: a 15 pesavo 80 chili per nemmeno 1.70.
    (mia madre, sconsolata dalle montagne di cibo che mangiavo – minacciava sempre di metter il lucchetto al frigo – mi diceva: ma per cambiare non potresti diventare anoressica, per un po’?)

    so perfettamente di cosa parli 😉
    e… oh, ti vedo dimagrita, ma che sei a dieta?

    :PPPPP

    un bacio grasso

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