Bologna, Betty&Books e Sexyshock

Come al solito, capita che gli avvenimenti mi colpiscano in quella che definisco la mia “memoria dell’acqua”: magari dimentico visi e nomi, ma non la sensazione di tutte quelle vibrazioni che mi hanno attraversata, procurandomi piacevoli -oppure dolorosi- cerchi concentrici di emozione, come il celebre sasso nello stagno. Ogni momento che ho vissuto si presenta di fronte a me come un libro di sensazioni che si apre e sfoglia da solo, travolgendomi, spesso, inaspettatamente.
Ieri ho collezionato un altro volume, che è stato piacevole e dolcemente amaro. A volte anche scoraggiante, ma, in linea di massima, positivo.

Sono andata a Bologna per un workshop chiamato Eiaculazione femminile: un viaggio tra anatomia e politica, tenuto da Diana (che bella, bella, bella persona!) e per la festa del decennale del Sexyshock.
Il workshop è stato piacevolissimo, oltre che interessante (ma questo è scontato): l’atmosfera era rilassata ed informale -e se continuo a scrivere così, mi sembrerà di parlare di un buffet. Ok, IO ero rilassata e mi stavo godendo appieno il tutto, assorbendo avidamente quanto veniva detto. Mi sentivo innamorata, avvolta in una nuvola rosa ed il mondo era bellissimo.
La festa che è seguita è stata carina, per una che comunque non ama la discoteca (e la musica alta in generale), la calca, il non poter vedere chiaramente cose e persone e, soprattutto, il non poter parlare con nessuno. Però sono riuscita goffamente a ballare, a lasciarmi trapassare dai bassi e a non restare troppo contratta e in posizione da difesa. Quindi è andata bene. Anzi, grazie alla splendida compagnia, sono riuscita ad andare persino oltre, fino a staccare un pezzo di quel pesante cervello che mi porto addosso e adesso esiste nel mondo una foto di me che fa la cogliona con la camicia aperta. Ho persino fatto un numero meraviglioso col ghiaccio della mia vodka lemon. Degno dei migliori burlesque, secondo me! E poi c’erano un sacco di persone stupende che vorrei riuscire a nominare una per una, in perfetta tradizione da ricordo colmo di dolce nostalgia:

– i due ragazzi di Torino. Ecco, li metto per primi perché sono così merda da non riuscire a ricordarmi i loro nomi. Però, a mia discolpa, posso dire di averli riconosciuti subito e che ero felice di rivederli. E’ stato bello. E loro erano belli vestiti e truccati. Molto più sexissimi di me versione burlesque, ora che ci penso…

– Valentine che è proprio carina ed è stata un ottimo pubblico per il lancio del cubetto di ghiaccio dentro il reggiseno. E poi -ma guarda un po’ cosa la mia memoria sceglie di salvare!- al momento del saluto mi ha fatto un grattino sulla nuca e mi sono sentita coccolatissima. Ecco, l’ho detto. Spero non capiti mai qui, perché poi m’ imbarazzo.

– Simona Pamp che mi ha chiesto se poteva fotografarmi quand’ero col reggiseno in bella vista che ha dato una spinta al mio ego talmente forte che ha fatto trillare la campanella in cima, soprattutto quando mi ha parlato del suo progetto e ho pensato che, forse, sono “una persona che dovreste conoscere”. Sono rimasta stupita, confusa e felice (scusi, signora Consoli).

– Giulietta che è stata gentilissima e disponibile per tutto. Che persona cara.

– La ragazza che non credo di aver mai incontrato prima e che scherzava con me sul fatto che, con le tette quasi fuori, le facevo concorrenza sleale. Il mio ego ha trillato di nuovo. Alla fine ci siamo accordate che ci saremmo divise il mercato equamente: io le donne e lei gli uomini.
Sinceramente: una sconosciuta che mi parla per scherzare con me fa parte delle sorprese piacevoli che non mi aspetto mai. Oddio, sto per commuovermi (che, se aveste visto la scena, c’era solo da ridere, invece XD).

– Sara, Delia, Flavia, Claudia e Chiara (settore ospitalità): sono state veramente disponibili con me e sono stata felice di vedere quanto gentili siano state con me delle persone che neppure mi conoscono. Ringraziare mi sembra così poco… Ah, e poi aggiungo anche Mila e V.

– Diana (sempre la Pornoterrorista). La ricito perché merita: il modo di ringraziare toccandosi con mano il petto è qualcosa che mi colpisce sempre (un’altra delle immagini che il mio cervello salva in automatico). Che fosse nuda dalla cintola in su non ha fatto che rendere quel gesto ancora più sincero. Che bello.

– Le donne a seno scoperto che ho intravisto. Diventeranno il mio modello: sembravano delle stupende guerriere.

L’unica nota negativa è stata rappresentata da me, che mi sento una cogliona: come al solito fuori da ogni tempistica, incapace di trovare la via, i modi o le parole giuste. E a quel dannato istinto alla “verità” accompagnato al timore di recare disturbo, anche quando una semplice bugia (oppure una verità più approfondita ed argomentata, tipo: “No, grazie: ho già mangiato. Però accetto volentieri l’invito di unirmi alla compagnia, piuttosto che fare il condor appollaiato sullo sgabello, anche perché mi farebbe davvero molto piacere”) avrebbero potuto farmi sentire meno scema.
Però forse è vero quanto mi è stato detto: in fondo, io volevo far avere qualcosa a qualcuno e questo è stato fatto. Ho comunque goduto di una presenza piacevole e, in ogni caso, quella persona si è mostrata molto gentile con me (ed è una cosa che mi stupisce sempre, chiunque mi stia parlando). Insomma: sono solo stata colta alla sprovvista ed il terrore di fronte all’inaspettato mi ha tagliato le gambe. Se avessi avuto un asciugamano con me, forse sarebbe andata meglio, ma tant’è….

Pubblicato in Magic moments | 2 commenti

Album di famiglia

Io lavoro. In questo momento pare un lusso da sfoggiare come un collier di oro bianco, però lavoro e non è una cosa così gaia. E’ un contratto di collaborazione a progetto, ovviamente, ma non ho intenzione di parlare della formula che mi incatena, bensì di ciò che vedo mentre sono alla mia scrivania. Devo dire che è molto interessante, perché mi dà uno spaccato della realtà che, altrimenti, avrei ignorato: sono a contatto con il lavoro domestico. Badanti e colf non hanno segreti per me (si fa per dire) e mentre faccio quello che devo, mi capita di ascoltare delle storie:

– Il vecchietto ottantenne che si deve far pulire il culo perché non è in grado di arrivare neppure fino in bagno ha invece la forza necessaria per allungare le mani fino alle tette della sua dipendente e/o al suo pisello che tenta diligentemente di smenarsi, con la giustificazione che “Ma dai: sono un uomo!”. No, non sei un uomo: sei uno schifoso schiavista, così infarcito di senso di superiorità che non ti rendi neppure conto di quanto sei patetico. Ti caghi addosso, ma la bella marocchina (o tunisina? Che ne sai? Che differenza fa per te?) che paghi una miseria per evitare di affogare nelle tue feci dovrebbe esserti grata per questo e, anzi, ti stupisci che non sia così accondiscendente e che non si offra lei di farti una sega o un pompino. Sarà che lei ha davanti a sé un corpo in decomposizione e riesce a vedere soltanto il contenuto del tuo pannolone, quando ti guarda. Sarà che, per quello che la paghi, è già tanto se ti tocca con le sue mani, invece che usare delle pinze, per poter mettere la maggior distanza tra sé e te.
Oh, ma è solo un povero vecchietto, in fondo. Non fa un misto di pena e simpatia? Sono solo io che sono crudele e cinica.

– La famiglia benestante con villa non ha abbastanza soldi per assumere regolarmente una serva dell’est e pagarle i contributi. In realtà, a pensarci bene, non ha neppure abbastanza spazio in casa per ospitarla, dopo che ha fatto la notte a seguire la nonna sul finire della sua vita, perciò appronta nello scantinato una comoda cameretta con tanto di stufa, ove la donnina possa riposare durante il giorno. Peccato che la vasistas dia proprio sulla parte del cortile dove gli angioletti di casa amano giocare a calcio. Anzi, deve trattarsi proprio della zona di porta, considerato il numero di pallonate che continuano a rimbombare sul vetro. E, ovviamente, come si possono privare i bambini del divertimento?
Ah, e prima di finire il turno, vedi di stirare tutta quella roba, lavare la biancheria di mio fratello (ché, poverino, è solo) e dai una passata al soggiorno: non vedi in che condizioni è?

– Un uomo di buon cuore cerca disperatamente qualcuno che lo aiuti a badare alla moglie molto malata: la vuole giovane e sorridente. Dopo il colloquio privato mi è stato riferito di strane domande che non si riferivano affatto alle mansioni di accudimento di una donna allettata…

– Un figlio premuroso cerca una donna per assistere l’anziano padre. “Se possibile Etiope. Sa, mio padre, da militare, è vissuto là per un po’. Sarebbe come un salto nel tempo: si sentirebbe a suo agio. Saprebbe trattare con lei”.
E la bella abissina è servita. Spero che abbia la faccetta abbastanza nera.

– Una voce di uomo istruito si lamenta al telefono delle pretese della sua lavoratrice, alcune delle quali decisamente legittime: “No, ma io non sono razzista, si figuri: mio padre è stato partigiano e, se fosse il caso, anche io lo farei, ma non ne posso più di tutta quella gente che viene qua e continua a vivere sulle nostre spalle!”
Spero davvero che non sia mai “il caso”: non vorrei trovarmi a dover contare su persone così assolutamente non razziste.

E poi voci di donne, lavoratrici e datrici di lavoro, stanche da morire, confuse, disperate, costrette a seguire una situazione che grava totalmente sulle loro spalle a volte pagate e a volte no. Storie di sofferenza, di situazioni famigliari difficili ma che nessun altro si prende la briga di gestire.
E quindi tra ricatti economici (cosa non si fa per il pane ed un permesso di soggiorno…) e morali (ma è tu* parente! Non sarai mica una donna senza cuore!?) tocca rimboccarsi le maniche e tapparsi il naso. Tocca rinunciare ad una vita, perché lavorare con un contratto di convivenza significa poter passare, in media, solo 36 ore a settimana fuori da quella maledetta casa-prigione. E cosa vuol dire vuol dire dover lavorare, cercare di essere autonome e venire invece costantemente trascinate indietro, verso la famiglia, questo luogo d’amore che vi incatena ai vostri doveri?

Ma o va così, o siete delle donne degeneri. Tutto qui.

Pubblicato in Riflessioni non troppo brillanti | Commenti disabilitati su Album di famiglia

Istruzioni per l’uso #1

Precisamente oggi, al giorno ottavo del mio ciclo, elargisco un paio di spunti che gradirei assai vedermi ripresentare, magari con una minima personalizzazione:

Vorrei disegnare sulla tua schiena i profili delle montagne: alte vette, picchi inviolati, buie valli inesplorate, perfette ed imperfette geografie di mondi immaginari.
Vorrei tracciare solchi nella tua pelle e seppellirci semi di piacere; scavare sotto gli strati insonnoliti, risvegliare la carne viva e pulsante e far sprizzare la linfa fino alla superficie. Spezzerei le tue catene per essere libera di giocare con corde e nodi, fremiti e altalene di potere.
Vorrei scoparti via ogni pensiero.

Ecco, ci tengo a dire che cederei per molto meno, ma nel caso mi venisse presentata una proposta del genere, rischiereste persino di farmi felice (a patto che le promesse vengano mantenute, sia chiaro).

Pubblicato in Consigli per gli acquisti | Commenti disabilitati su Istruzioni per l’uso #1

Urobori, psicomaghe e pregiudizi

Ho appena trovato questo e credo di avere il cervello in pappa: mi è appena schizzato verso il cielo, sfracellandosi, ovviamente, sulle parietali. Sto tremando come mi capita in occasioni specifiche che generalmente collego ad un grande accumulo di energia in previsione di un rilascio improvviso (troppo vari gli esempi, per spiegarlo meglio: si va dall’emozione di una “confessione” alla preparazione rituale, perciò non aggiungerò altro); sono sicura che non è il freddo. Il freddo non mi dà quella sensazione nel centro della pancia e in fondo alla gola.
Non l’ho fatto: non ho completato l’atto psicomagico; l’ho solo letto per cercare di comprenderne la struttura e mi è piaciuto da impazzire. Se è quello l’effetto che fa a leggerlo, posso immaginarmi cosa sia metterlo in pratica.

Il tutto mi fa pensare che ultimamente sono proprio in cerca di momenti che mi permettano di levare la “maschera sociale” e di andare a fondo, oltre alle illusioni impostemi dal sistema in cui vivo, fatto di stereotipi, pregiudizi e plastificazione, immobilizzazione di tutto ciò che è -o dovrebbe essere- naturale espressione dell’umano. Per riuscire a spogliarmi di tutto quel lerciume, spesso è necessario cogliermi di sorpresa: devo fare qualcosa di inspettato, formulare un pensiero velocissimo, oppure proiettarmi al centro di una qualche scena assurda. Questo -oltre a essere un becero trucco- provoca in me delle reazioni e, sulla base di ciò che sento, posso andare a muovere quelle che sono le travi più pericolanti della struttura e mettere in discussione l’apparato su cui appoggio l’intera mia visione del mondo.
E’ un lavoro di merda, perché mi fa entrare facilmente in crisi di angosica incredibili. Allo stesso tempo è un lavoro pieno di soddisfazioni (nonostante la mia fobia verso questo genere di pensieri, devo accettare l’idea che l’essere umano sia una contraddizione ambulante): infatti mi eleva a picchi di illuminazione colmi di gioa indescrivibili e quando si è lassù, ogni cosa -persino io- pare al suo preciso posto.
Insomma, vedo il wyrd (e la gente morta, aggiungerei).

Nel bel mezzo di uno di questi esperimenti, mentre mi ponevo una domanda sui pregiudizi, mi sono resa conto di averli tutti. Ah, sì, proprio tutti quelli che la società ha voluto che sorbissi col latte materno (mento, comunque: non sono stata allattata, per via di una qualche ipotizzata -poi rivelatasi una panzana- malattia di mia madre. Strano ma vero, non ho mai sviluppato la mania delle tette a reazione di questo mancato contatto infantile. …no, scherzavo: io c’ho la mania di tutto…). Insomma mi hanno farcita come una sugosissima torta: zingari, negri, froci, rumeni, albanesi, trans, puttane, donne… E questa cosa mi fa incazzare, perché so io, adesso, la fatica che devo fare per non far partire il pensiero automatico, per lavarmi via queste idiozie che ho stampate in testa. La cosa peggiore, poi, è il senso di superiorità che la “politica dell’esclusione” instilla a chi la pratica e credo che sia su questo che si fonda il fascino del pregiudizio. Noi siamo quelli giusti, belli, potenti e loro gli esseri inferiori: dai, non si può negare che sia piacevole elevarsi sul trono e osservare così tutti quelli che “mi ameranno, disperandosi” [saluto Galadriel di Lothlorien che ha prestato voce ai miei pensieri e tutti quelli che mi conoscono]. Dei, il senso di superiorità è come una droga in un sistema in cui ciascuno viene costantemente schiacchiato verso “nessuno”, dove siamo solo macchine. Non solo: il pregiudizio fomenta la paura e la paura immobilizza gli animi.
Ma non vorrei sembrare troppo banale (in pratica vi sto chiedendo scusa perché è proprio ciò che sono): sto parlando in termini generici, ma in realtà mi riferisco a me e me soltanto. So l’effetto che fa su di me il pregiudizio e, in definitiva, lo odio. E’ una dannata trappola con la quale potrei convivere abbandonandomi all’ignoranza, se solo non coltivassi il gusto della lotta ed il tedio per lo status quo. Certo che per farmi criticare lo stato delle cose (a me! Che sono del Toro, il famoso segno che non cambia mai nulla, nella celebre barzelletta delle lampadine) devono avermi proprio martoriato le ovaie.

E quindi, in conclusione, ho detto tutto e niente. Mi sa che dovrrei scusarmi: sono una blogger imperfetta ed una persona in via di ricostruzione e sto cercando di risolvere almeno una delle due cose (anche se non ho capito esattamente quale sia).
Non sarà facile. Amiamomi comunque.

Pubblicato in Generale | Commenti disabilitati su Urobori, psicomaghe e pregiudizi

Ormoni

Adesso ho solo bisogno di sfogarmi, perché sono in fase discendente. Probabilmente funziona come la marea: prima delle mestruazioni -l’onda- le acque si ritirano, si piegano su se stesse, si accartocciano e a me fanno l’effetto della lacrima facile, ma anche di energia repressa che mi spinge a voler fare qualcosa e, contemporaneamente, ad ignorare dove dirigere questo mio desiderio così pressante. Mi ritrovo quindi spaesata, pronta allo scatto, ma bloccata, in una situazione di tensione difficile da gestire. La frustrazione, conseguentemente, mi provoca un enorme senso di insicurezza: non riuscendo a sfogarmi su nulla (perché, come già detto, non trovo l’obiettivo che sento di bramare disperatamente), mi sfogo su me stessa. Non parlo di autolesionismo, anche perché non si tratta di qualcosa che faccio volontariamente: sono i “pensieri automatici” e a volte non sono neppure totalmente espressi, ossia si fermano al limbo della sensazione. Praticamente mi sento una nullità. Intellettualoide, artistoide, (che poi scelgo pure definizioni che non oserei darmi mai neppure da non deformate) poetoide, femministoide, bloggeroide, pagliaccioide: potrei trovarne mille e servirebbero unicamente a mettermi di fronte a qualcuna e ad eleggerla a “Migliore di Me”.
E’ un questi momenti drammatici che sento di volere disperatamente un abbraccio, un attimo di conforto.

Pubblicato in Generale | Commenti disabilitati su Ormoni

Bye Bye Berlu

Eppure io non riesco a festeggiare.
Certo, sono contenta che si sia allontanato dalla scena politica, anche se troppo tardi e solo per un po’, ma dubito che questo servirà davvero a cambiare l’Italia e a far star meglio chi a stento riesce a galleggiare nella merda in cui ci hanno piano piano accompagnati per manina con le loro politiche economiche e sociali.
La verità è che chiunque proponga qualcosa che non contenga la parola “rivoluzione”, temo sia uno dei soliti: sono tutti grigi, tutti uguali, tutti proni al potere dell’Economia.
E io devo ancora capire che cos’è, ‘sta economia, oltre ad una cosa che posso solamente subire, senza poter influenzare, senza riuscire a togliermela di torno, senza riuscire a domarla o ignorarla.
La verità è che dovremmo abolire la moneta. Ci sto pensando seriamente: devo solo capire come e dove posso spingere affinché succeda.

Pubblicato in Riflessioni non troppo brillanti | Commenti disabilitati su Bye Bye Berlu

Assalto nel cuore della notte

Ieri notte tornavo a casa e, come al solito, mentre guidavo, parlavo ad alta voce. Immaginavo di discutere con una persona ed elencare i suoi pregi e le motivazioni per cui mi piace. Lo so che è assurdo e, anzi, vagamente preoccupante, però lo utilizzo come metodo per analizzare quello che provo. Non so se funzioni, ma mi dà spesso l’occasione di riflettere sulle sensazioni che sperimento, ed è sempre qualcosa di positivo, dato che posso affermare senza ombra di dubbio di essere un mistero per me stessa, oltre che una “barbara delle relazioni interpersonali” (cosa di cui incolpo proprio la mia ignoranza in campo emozionale). Inoltre parlo ad alta voce perché per comporre delle frasi chiare devo rallentare la velocità dei miei pensieri ed evito, quindi, di saltare qualche collegmento logico o di ignorare dei punti che, magari, non sono ancora ben definiti.
Tralasciando le scuse a giustificazione di un comportamento preoccupante ( 😉 ), mentre parlavo, all’improvviso ho sentito un odore. Non so quale fosse, perché non sono in grado di riportarlo alla mia memoria, ma è stato come essere colpiti forte in testa. Sono rimasta stordita e spiazzata, senza parole, mentre tentavo di capire quale ricordo avesse svegliato in me il senso dell’olfatto (la sensazione di spaesamento era dovuta proprio ad un ricordo che se ne stava a galleggiare ai confini della mente cosciente).
E poi è arrivato, veloce come un treno a scompaginare l’ordine che stavo tentando di creare nel cervello: ho richiamato alla memoria una cucina. L’ho vista chiaramente, come fossi lì, dalla visuale in prima persona, e mi è venuto da piangere.
C’erano la luce, la temperatura, gli odori dei primi di dicembre del 2009. Provavo la stessa morbida sensazione di essere al posto giusto, con la persona giusta. Avrei potuto girarmi e vederla lì, a sorridermi. Avrei potuto avvicinami a lei e baciarla, o guardarla negli occhi, prenderle le mani… Era la prima persona con cui facevo l’amore e le sensazioni della sua pelle a contatto con la mia, del peso del suo corpo su di me, del suo calore mi hanno accompagnata per molti mesi anche dopo che tutto era finito.
E’ stata una sensazione così forte ed inaspettata che mi è venuto da piangere. E pensare che credevo di essermi lasciata tutto alle spalle: pochi mesi di idillio e poi la più o meno improvvisa “rottura”, i tentativi di capire, di continuare a comunicare in qualche modo, di non perderci e poi l’addio definitivo, con l’accordo di non cercarci più.

Forse adesso, per la prima volta, mi rendo conto di averla amata davvero, per quanto possa valere una coscienza tardiva. Mi sembra quasi di trovare un briciolo di pace in più, riconoscendolo.
Chissà se lei lo ha mai saputo.

Pubblicato in Magic moments | Commenti disabilitati su Assalto nel cuore della notte

Un tanto al chilo

Ho letto sul Topolino (sì, be’, ognuno ha le fonti di informazione che le proprie capacità intellettive permettono) che il Grand Kilo, il prototipo dell’unità di misura della massa, sta perdendo peso: per ora è arrivato ad alleggerirsi di 50 miliardesimi di Kg. Praticamente il cilindretto metallico che definisce nel mondo quanto pesa un chilo…non pesa affatto un chilo! Ovviamente si sta correndo ai ripari: si stanno già studiando altri metodi e costanti universali che siano più affidabili di un pezzo di metallo che, all’improvviso, decide di mettersi a dieta. C’è chi dice di impiegare la costante di Plank (l’enegia elettrica necessaria a sostenere a mezz’aria un Kg* attirato dalla gravità terrestre -così mi dicono), chi quella di Avogadro (che si basa sul numero di atomi o molecole in una mole di sostanza).
Confesso che questa notizia ha dato una specie di scossa al mio cervello (limitato e costretto a leggersi il Topolino, già…): il tempo, la massa, la lunghezza… tutte le unità di misura non sono che finzione: uno un giorno s’è svegliato, ha preso un pezzo di legno e l’ha chiamato metro. E da quel momento in poi quella barretta è stata messa in una cassaforte, lontano da seghe o lime, e serve a dire a tutti quanto è lungo un metro. E così per tutto il resto.
Ma allora mi chiedo: a cosa servono le misure, se si basano su una decisione arbitraria? Tutto il nostro sistema di misurazione è basato sul nulla più assoluto. E se mancassero questi prototipi universali, come vivremmo?

Io non sono una gigante e neppure una nana: ho esattamente la mia altezza. C’è chi è più alt* e chi più bass* di me, ma sono tutti giusti così come sono.
Nessuno deve dimagrire o ingrassare: non c’è un “peso forma” da raggiungere con sacrificio, nessuno si sente frustrato o giudicato perché ha dei chili di troppo addosso. Nessuno sa neppure che cosa dannazione siano i chili.
Quanta frutta devo comperare? Quanta verdura? E pasta? E dolci, zucchero, vino, latte…? Quanto me ne serve per sopravvivere. Né più né meno.
Quante ore devo lavorare? Quante ore è giusto che io dedichi a me, agli altri, all’arte, all’amicizia…? Tante quante siano in grado di farmi sentire realizzata. Non esiste il tempo: quello che vale è solo la sensazione di piacere che provo nello svolgere le azioni, non quanto durano.
Quanto valgono le ore della mia vita? Quanto devo essere pagata per quello che faccio? Niente. Nessuno deve lavorare. Il denaro non esiste. Il mondo vive di scambio: il mio tempo per il tuo o quello di qualcun altro, se mi serve. Ed il tempo non è una nuova moneta: è solo il dedicarmi a qualcosa che so e voglio condividere con te.

Senza unità di misura, il mondo non avrebbe letteralmente più limiti. Sarebbe tutto “giusto”.
Quando la gente ha iniziato a voler misurare le cose, ha costruito delle pareti attorno a sé e alle proprie possibilità; ha costruito incasellamenti, giudizi e pregiudizi e forse il Grand Kilo lo sa e sta facendo quello che può per far iniziare la rivoluzione: niente sarà più insindacabilmente giusto o sbagliato. Allora io voglio spedire una lima al Bureau International des Poids et Mesures, dove il mio amico rivoluzionario è rinchiuso: magari riuscirà ad evadere e a segare le sbarre impiantate nelle nostre teste.

 

*ma come fai a sapere quanto è 1 Kg da sollevare?

Pubblicato in Generale | Commenti disabilitati su Un tanto al chilo

Ulteriori ricordi

Questa è una parte del reading ferocemente femminista svoltosi al Fem Blog Camp; video by Slavina.

Non è forse bellissimo? Non vi viene voglia di innamorarvi di quell’atmosfera?

Pubblicato in Femminismo | Commenti disabilitati su Ulteriori ricordi

Non finisce

Credo che questo luogo procederà con un rodaggio piuttosto lento ed approfondito. Ancora non so bene che aspetto vorrei dare al mio secondo diario virtuale (se escludiamo il tentativo del primissimo: fallito dopo un unico post). Sto ovviamente parlando dei contenuti, non della grafica, poiché di quella dovrò occuparmi con ancora più calma: devo ancora capire come funziona, ma non mi metto fretta. E’ un elemento del tutto secondario.
Mi piacerebbe riuscire a sembrare intelligente, qui dentro, ma il problema è che poi creo false aspettative. La verità è che vorrei riuscire a sembrare molto più me stessa di quanto non faccia in realtà, perché ciò che ho provato nei brevi attimi in cui mi sono concessa di non avere alcuna restrizione mentale e di non preoccuparmi dei pensieri altrui, è stato ineguagliabile. E questo spiega perché a una settimana da tutto questo io sia ancora completamente ubriaca.

Mi sento innamorata. E’ bello da dire, anche se pare assurdo: non sto parlando di persone, ma di sensazioni. Sono innamorata delle emozioni che ho provato, dell’entusiasmo, della commozione, del coraggio, del tuffo nel vuoto, dei sorrisi. Sono innamorata di me più che mai.

Pubblicato in Femminismo | Commenti disabilitati su Non finisce